Una definizione di complessità

Se in un cataclisma andasse distrutta tutta la conoscenza scientifica, e soltanto una frase potesse essere trasmessa alle generazioni successive, quale affermazione conterrebbe la massima quantità di informazioni nel numero minimo di parole? Io credo che sarebbe l’ipotesi atomica (o dato di fatto atomico, o comunque vogliamo chiamarlo) secondo cui tutte le cose sono fatte di atomi, piccole particelle che si agitano con un moto perpetuo, attraendosi quando sono un po’ distanti una dall’altra, ma respingendosi quando sono schiacciate una contro l’altra. In questa singola frase c’è un’enorme quantità di informazione sul mondo che ci circonda, se soltanto ci si riflette sopra con un po’ di immaginazione.
(Richard Feynman, Sei pezzi facili, Adelphi, 2000)

Le cose hanno più dimensioni.
Ci sono più livelli di lettura, più interpretazioni, più modi di vedere un oggetto o un concetto.
Dato che siamo umani e pensiamo solo una o due cose per volta, noi dobbiamo analizzare, dal greco análysis, cioè scomposizione, cioè tagliare il reale in tante fette e guardare una fetta per volta.

La metafora delle dimensioni fisiche viene molto bene (è una metafora esatta, biunivoca):

La linea è una successione infinita di punti,
il piano una successione infinita di linee,
il volume una successione infinita di piani,
l’ipervolume una successione infinita di volumi…
(Jorge Luis Borges, Il libro di sabbia)

Ma questo accade per tutto: ogni fatto del mondo interagisce con un altro, ogni atomo si muove e ne sposta un’altro ancora. In questo senso, tutto è in divenire, nulla mai si ferma, ogni cosa ha cause e ogni cosa ha effetti.
I fatti del mondo si possono inscatolare in concetti più grossi: possiamo aggregare fatti simili, per livello di lettura, e dividerli da altri livelli di lettura.
Ci piace pensare che ci sia una matematica, una fisica, una chimica, una biologia, una psicologia, una sociologia, ma sono tutte cazzate.

Esiste il mondo, nella sua irriducibile, incomprimibile (quindi) incomprensibile complessità.
Siamo noi che non possiamo vederlo tutto insieme, così lo dividiamo per capirlo (cioè, comprenderlo in pezzi più piccoli e digeribili per il nostro cervellino).

Tutto questo, a me piace chiamarla “ipotesi dimensionale”, ed è la mia personale risposta alla domanda fatta a Feynman.

Letture consigliate:

  • Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach, Adelphi, 1984.
  • Edwin A. Abbott, Flatlandia, Adelphi, 1966.
  • Rudy Rucker, La quarta dimensione, Adelphi, 1994.

Costruire comunità

Da un paio di settimane sono finito dentro il vortice dei siti StackExchange: sono siti di domande e risposte (quindi, non forum), in cui diverse comunità di esperti si riuniscono attorno ad un interesse (la progammazione, la cucina, la filosofia, la birra). I siti sono quasi interamente gestiti dalla comunità stessa, sono sotto licenza libera (CC-BY-SA), e ovviamente sono tutti in inglese.

StackOverflow (sulla programmazione) è il più famoso di tutti. Ha migliaia di nuove domande al giorno, centinaia di migliaia di interazioni fra utenti, e può vantare una comunità fra cui ci sono letteralmente i migliori programmatori del mondo, che magari si divertono a rispondere a domande triviali o complicatissime.

L’aspetto più interessante (unico nel suo genere, per questi tipi di siti) è la gamification, cioè un (complesso) sistema per cui un utente riceve punti per domande fatte e risposte. Tutto può essere votato (con voti positivi e negativi), e tutto contribuisce alla personale reputazione.

La gamification (cioè il “dare punti per le azioni svolte”) è qualcosa che giochi e videogiochi conoscono da decenni, e a suo modo anche la scuola e l’università (coi voti, per esempio). Sfrutta il semplice e illogico fatto per cui noi umani faremmo di tutto per aumentare questi numerini. Siamo fatti così, ci basta una metrica e subito vogliamo vincere.

Codice

Stackoverflow è una comunità di pratica (la comunità dei programmatori), con valori pressochè condivisi, un linguaggio condiviso, e con la meravigliosa caratteristiche che tutto ciò che questa comunità produce è codice, e questa cosa è straordinaria, perchè il codice

  • si scrive
  • si compila, cioè si vede l’effetto che fa.

Questo significa che la comunicazione fra persone può essere praticamente senza perdita di informazioni: un utente fa una domanda precisa, allega il codice che non gli funziona. Altri utenti passano e possono vedere esattamente quello che dice, possono tentare una soluzione, provarla e se funziona scrivere una risposta.
C’è questo fatto ciberneticamente rilevante che il codice permette un tight feedback loop: posso in tempo brevissimo vedere l’effetto che fa una determinata modifica, produco un risultato tangibile e tendenzialmente univoco. (Esercizio per il lettore: trovate un’altro ambiente in cui succede tutto questo).
Non è un caso che StackOverflow sia il più di successo fra gli oltre 100 siti dedicati di StackExchange (e nel suo diverso ambito, anche di Quora). Alcuni datori di lavoro iniziano a guardare anche la reputazione che un utente ha all’interno della comunità.

La cosa secondo me meravigliosa di StackOverflow è che sono riusciti ad aggirare, tramite un’accurata e geniale organizzazione (cioè il design dell’intero sistema), il fatto che ai programmatori non piace spiegare le cose ai niubbi)(cioè, i dilettanti o chi sta imparando a programmare)(in un certo senso e in parte, aggira il RTFM).

La reputazione, all’interno della comunità (che sia più o meno definita), è un ottimo incentivo, e unito al fatto che StackOverflow è davvero utile.

Design di comunità

Se dovessi definire uno dei problemi del prossimo millennio, è il design delle istituzioni sociali. Cioè, creare progetti comunità che abbiano un obiettivo e aiutarle a perseguirlo.
Questa cosa c’è da sempre anche nel mondo reale, ed è dannatamente difficile.
La cosa bella è che nel mondo virtuale è molto più facile, perchè nel virtuale le azioni di una persona sono limitate (fai like, scrivi un commento, guarda un foto), e quindi si possono direzionare e indirizzare.

Il co-fondatore di StackOverflow, Jeff Atwood (che già dopo un paio di giorni si sta guadagnando un posticino nel mio pantheon personale), non fa mistero che uno degli obiettivi “nascosti” del progetto era quello di insegnare ai programmatori a comunicare meglio, a spiegarsi e a spiegare anche a persone non intelligenti (o logiche) come loro.

Stack Overflow’s goal isn’t just to have quality answers or help developers solve technical problems. “A programmer’s job is to communicate with users to find out what people want,” he explains. “We’re tricking developers into being better communicators.” By making developers better at the non-technical aspects of programming, Atwood hopes Stack Overflow can make the internet better for everyone.

Atwood ha lasciato SO un paio di anni fa, e ha creato Discourse, che invece di essere un sito di domande e risposte vuole ospitare conversazioni e discussioni, incentivando i comportamenti positivi (e disincentivando i negativi).

Biblioteche

E in tutto questo, la (personale) nota dolente: dove sono i bibliotecari?

Finalmente sto studiando con calma l’Atlante di Lankes, e tutte le volte che parla di co-creazione di conoscenza, bibliotecario come “facilitatore”, di empowerment dei membri e della comunità, mi chiedo: si, ma quindi, concretamente?
Perchè parlare del futuro quando si sta sistemanticamente ignorando il presente? Cosa stanno facendo i bibliotecari?

Tutti gli spazi di co-creazione della conoscenza che conosco e funzionano siano decisamente non bibliotecari, e sono appunto:

  • Wikipedia e i progetti Wikimedia
  • Quora
  • siti di StackExchange (oltre 100, e in crescita)
  • Zooniverse

Pensando anche solo a StackExchange (dategli un’occhiata, sul serio), mi pare che sia un paio di ordini di grandezza sopra a qualsiasi servizio di reference immaginabile. Il servizio di reference (che in Italia praticamente non esiste) è stato, è o sarà da comunità di appassionati che si rispondono fra di loro.
Non dubito che i bibliotecari potrebbero essere utili (anzi, ne sono assolutamente convinto), ma di fronte a degli esperti che hanno voglia di rispondere il bibliotecario, intermediario di una volta, nulla può fare.
Gli esperti stanno iniziando a rispondere direttamente. Internet sta distruggendo anche questa forma di intermediazione.

Se i bibliotecari non si impegneranno seriamente ad evolversi e/o rivoluzionarsi, io la vedo dura.
La vedo dura anche per Wikipedia, con i suoi milioni di utenti al giorno.

Certo, non bisogna dimenticare il digital/information divide: non tutti vanno su Quora o StackExchange, ancora. Perchè sono in inglese, perchè non li conoscono, perchè non c’è tutto. Ma se queste comunità avranno successo (e lo avranno) in qualche anno diventeranno un punto di riferimento internazionale. Sul web funziona così, chi vince piglia tutto.
Abbiamo dunque 5-6 anni per risolvere la questione prima che questi siti diventino il punto di riferimento come è accaduto per Wikipedia e StackOverflow (per la comunità di programmatori).

Non ci sarà mai niente di più facile per un utente che scrivere la domanda su Google e vedere apparire la soluzione corretta. Il fatto è che ci siamo già.

L’unica soluzione che io vedo, dunque, è sempre la stessa: integrare i bibliotecari in queste comunità.
Il contenuto che producono è rilasciato con licenza libera, sono forme di volontariato culturale e sociale, sono in atto regole comunitarie chiare e inclusive, l’impatto in diverse comunità di utenti con bisogni informativi diversi è enorme. Sono beni comuni digitali, amministrati attraverso l’auto-organizzazione della comunità stessa. Sono un terzo luogo, nè privato nè pubblico.

Per Lankes la missione dei bibliotecari è:

to improve society through facilitating knowledge creation in their communities.

Per Wikipedia, è

a world in which every single human being can freely share in the sum of all knowledge.

Il manifesto IFLA-UNESCO delle biblioteche pubbliche parla di empowerment, accesso libero all’informazione, partecipazione attiva dei cittadini per lo sviluppo della democrazia.

Unite voi i puntini.

Update 8 gennaio: CVD.

Il sogno realizzato del bibliotecario e che cosa fare ora

L’avrei potuto scrivere io, ma peggio.

Avatar di vgentilinibibliotecari non bibliofili!

La premessa: di quale sogno stiamo parlando?*.
In una qualunque voce di Wikipedia si possono vedere sempre o la presenza di note e bibliografia, o l’avviso che la voce è carente di fonti. Il sogno del bibliotecario è avere un web referenziato, ed ecco il sogno realizzato (o meglio: in corso di realizzazione, c’è tanto da fare). Le fonti di Wikipedia sono siti online ma molto, molto più spesso, banalmente, libri. I libri sono conservati presso le biblioteche, e la responsabilità delle biblioteche è quella di rendere realmente disponibili quelle fonti.
La loro enorme occasione storica, arrivati al 2015 (per la quale oggi che è il 1° dell’anno dovremmo tutti gridare hurrà!) è quella di togliere il lucchetto a ciò che conservano. Questa occasione è resa possibile dal digitale che ha (nonostante le complessità e una normativa sul copyright obsoleta) reso la diffusione della conoscenza un’attività infinitamente più…

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