Il padre Sogol ci aveva raccontato a questo proposito di aver già fatto degli esperimenti destinati a misurare la potenza del pensiero umano. Riferirò solo quello che ho afferrato. Al momento mi ero chiesto se bisognasse prendere tutto alla lettera e, sempre assorto nei miei studi favoriti, avevo ammirato in Sogol un inventore di “simboli astratti”: una cosa astratta che simbolizza una cosa concreta, al contrario del solito. Ma un seguito ho constatato che queste nozioni di astratto e concreto non avevano molto senso, come avrei dovuto capire leggendo Senofane di Elea o lo stesso Shakespeare: una cosa è o non è. Sogol, dunque, aveva tentato di “misurare il pensiero”; non nel senso inteso dagli psicotecnici o dagli esperti di test, che si limitano a confrontare il modo in cui un individuo esercita tale o tal’altra attività (d’altronde spesso del tutto estranea al pensiero) con il modo in cui la media degli individui della stessa età esercitano la medesima attività. Si trattava di misurare il pensiero in valore assoluto. “Questo potere” diceva Sogol, è aritmetico. Infatti ogni pensiero consiste nella capacità di afferrare le divisioni di un tutto; ora, i numeri non sono altro che le divisioni dell’unità, cioè le divisioni di un tutto assolutamente qualsiasi. Osservai dunque su di me e su qualche altro quanti numeri un uomo può veramente pensare cioè rappresentarseli senza scomporli e senza raffigurarseli; quante le conseguenze successive di un principio che si può afferrare in una sola volta, istantaneamente; quante le specie incluse in un genere; quante le relazioni di causa a effetto, di fine a mezzo; e non trovai mai un numero superiore a 4. E già questo numero 4 corrispondeva a uno sforzo eccezionale che solo di rado riuscivo ad ottenere. Il pensiero dell’idiota si fermava a 1 e il pensiero normale della maggior parte della gente arrivava fino a 2, talvolta a 3, molto raramente a 4. Se volete, riprenderò con voi qualcuno di questi esperimenti. Seguitemi bene.”
Per capire quanto segue è necessario ripetere in perfetta buona fede gli esperimenti proposti. Ciò esige una certa questione, pazienza e tranquillità.
E proseguiva:
“1) Mi vesto per uscire; 2) esco per andare a prendere il treno; 3) vado a prendere il treno per andare alavoro; 4) vado a lavorare per guadagnarmi la vita…; provate ad aggiungere un quinto anello alla catena e sono sicuro che almeno uno dei primi tre scomparirà dal vostro pensiero”.
Facemmo l’esperimento – era giusto – e anzi un po’ troppo generoso.
“Prendete un altro tipo di concatenazione: 1) il bulldog è un cane; 2) i cani sono dei mammiferi; 3) i mammiferi sono dei vertebrati; 4) i vertebrati sono degli animali…; vado oltre: gli animali sono degli esseri viventi – ma ecco; ho già dimenticato il bulldog; se mi ricordo “bulldog” dimentico “vertebrati”… In tutti gli ordini di successione o di divisione logici, constaterete lo stesso fenomeno. Ecco perchè prendiamo costantemente l’accidente per la sostanza, l’effetto per la causa, il mezzo per il fine, il nostro battello per un’abitazione permanente, il nostro corpo o il nostro intelletto per noi stessi, e noi stessi per una cosa eterna.”
Da Il monte analogo, a cura di Claudio Rugafiori, Milano, Adelphi, 1968, pp.70-72.
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