Aderenza

Aderenza.

Quell’essere fedeli a sè stessi, coerenti, aderenti appunto, a una propria spinta interiore, una vocazione. Mi accorgo, sulla mia carne, di come le uniche cose che valgono e durino siano scaturite da uno stillare non tuo, ma che ti appartiene. Un io che ti è stato dato. Non tanto dunque qualcosa che facciamo, ma che sentiamo di voler fare. Credo sia una condizione necessaria per fare qualcosa di davvero bello. Se mi guardo intorno, tutto ciò di veramente bello è anche veramente autentico, un’estensione diretta del suo creatore. Qualcosa che viene da dentro.

A questa legge non sfugge neanche il mondo virtuale, che è uno spazio un po’ più libero (e un po’ più limitato) del nostro stesso mondo.

Dunque alcune leggi permangono, sono costanti universali.

Mi piacciano i blog, i progetti, da cui scaturisce la passione di chi lo fa. Non credo possa sopravvivere, sopravvivere con dignità almeno, qualcosa che non viene da te, tuo malgrado. Me ne rendo conto con l’Altrove, Università solidale, e soprattutto Wikisource.

Quando qualcosa ti appartiene, e tu appartieni a lei, ogni tedio e fatica è messa in conto. Poi, come diceva la Giuly, cerchi di vivere per quei momenti di esaltazione in cui la fatica non esiste, e voli e basta.

Credo sia un buon principio per cui fare le cose.

PS: mi piace essermi appropriato di una delle infinite dimensioni di una parola. In un certo senso, ognuno di noi lo fa ogni giorno e ogni momento, ma questo è diverso.

Definire esplicitamente, almeno a sè stessi, cosa si intende con una data parola in un dato contesto. E’ partorire un nuovo senso, un nuovo significato. Sapendo che spesso quella parola è usata per altro. Con attenzione: parola e concetto weiliano, dice la Campo. Penso ad aderenza nello stesso modo. Un nuovo senso, ma anche una via.

Ridondanza

A Napoli, al convegno “Che cosa sono le biblioteche digitali?” (un resoconto qui, se siete soci Wikimedia), mi è capitato di parlare Tommaso Giordano.

Oltre ad averlo trovato una persona estremamente simpatica ed aperta, mi ha sconfinferato il cervello parlando di ridondanza.

Spesso si considera la ridondanza come un male, soprattutto nella nostra epoca iperinformatica: ridondanza come rumore assordante, muraglia che impedisce il reperimento e la selezione delle informazioni, soprattuto quelle originali, le fonti primarie. Lavorando su Wikisource ho visto moltissimi siti e biblioteche digitali che scopiazzano in maniera inattendibile, senza riportare fonti, edizioni, licenze dei libri che pubblicano. (Credo che in questo modo, spesso, facciano un danno, oltre che a sè, anche agli altri: l’affidabilità percepita, la fiducia dell’utente nei riguardi del sito, del blog o del progetto, è molto più difficile, sotto certi aspetti, in rete che nella vita reale. La rete è piatta: ognuo ha uno ”schermo” di spazio per farsi riconoscere, comprendere, apprezzare. Ma per tutti è lo stesso, e la somiglianza che MySpace dà ai più grandi artisti con le band parrocchiali alla lunga finisce forse per danneggiare tutti.). Saper discernere le informazioni, ritrovare le fonti, evitare la contro e dis informazione è oramai un lavoro a tempo pieno, e forse un utopia. Da noi si dice (grazie Crì) “sei furbo come un setaccio“: lasci passare la farina (ciò che serve) e trattieni il resto (ciò che è da buttare via). Il contrario di ciò che dobbiamo saper fare oggi. Saper cercare, saper trovare, saper lasciar perdere.

Inquest’ottica, anche io vedevo la ridondanza delle informazioni (anche quella buona: più siti attendibili che pubblicano gli stessi libri, ne campo delle biblioteche digitali) come un male, contro quell’ecologia della conoscenza che dobbiamo imparare per sopravvivere…

E invece.

Invece la ridondanza è spesso una necessità: la natura è sempre ridondante.

Nelle informazioni genetiche che si ripetono per evitare errori, nei messaggi elettrici delle sinapsi, nel patrimonio genetico di ogni essere vivente.

Nelle biblioteche del globo, nei monasteri medievali pieni di copie degli amanuensi.

La molteplicità delle fonti preserva il libro dall’oblio, dalle guerre, dalla distruzione più o meno voluta da mani umane. Dalla prepotenza di chi può permettersi di alterare la Storia alterando documenti. Copiare è giusto, preserva la memoria, ci difende dalla violenza di chi vuole cancellare la verità. Pensate a Bush che modifica le date riguardanti la guerra in Iraq nel suo programma di governo…

Pensieri wiki

Sto cercando di costruirmi un wiki.

Un software come MediaWiki è estremamente potente, ma anche complicato da gestire.

Credo però sia uno dei pochi mezzi a disposizione che possa rendere giustizia e realtà al nostro flusso di pensieri, alla nostra mappa mentale. Con un minimo di pazienza, il wiki si costruisce, si migliora, si organizza e struttura.

Quello che mi frega, come al solito, è la pigrizia di stare lì a smanettare per capirci qualcosa. Ma forse, più di un blog, l’elasticità del sistema permette di costruire lentamente, byte dopo byte, tollerando pigrizie edisordini mentalii.

Il vecchio discorso della programmazione dinamica, bottom up. Mattone su mattone. Solo che, in questo caso, puoi costruire da ogni parte, modificando quello che ti pare quando vuoi, rivoluzionando tutto se necessario.  I wiki sono estremamente liberi, quindi potenti. Come la shell di Linux, o un foglio bianco.

Proviamo.

Non ho mai avuto simpatia per i blog.

Non che li conoscessi molto: giusto quel sottile disprezzo per le cose che rifiuti a priori.

In realtà, come al solito è un giudizio generalista: ci sono ottimi blog (pochi) e pessimi (moltissimi). Diciamo che apprezzo l’egocasting: è una cosa che non mi piace e che mi sembra aumentare a dismisura il rumore in quella cosa meravigliosa che è Internet.

Però ho deciso di provare: da qualche mese (complice la tanto agognata ADSL) frequento assiduamente la blogosfera, scoprendo le gioie dei feed RSS e i dolori dell’always on-line.

Vedremo come andrà.

Intanto, buona lettura ;-)