Una notte di undici anni fa, a Tallinn, stavo leggendo Gödel Escher Bach, l’agone letterario della mia vita (quattro anni e mezzo per leggere un libro sono tanti). Ad un certo punto, lì dentro, ho visto un nome che avevo già orecchiato in Da zero a infinito: quello di John Conway.
Con Conway era così: leggevi qualcosa di strano ed esoterico e il suo cognome spuntava come una margherita d’inverno, facendo cucù nei momenti più inaspettati.
In GEB, si parlava dei “numeri surreali”, numeri che comprendono tutti i numeri mai pensati (naturali, razionali, irrazionali, reali, transfiniti), e sono insieme più piccoli e più grandi di ogni numero mai pensato. Numeri così grandi che erano oltre gli infiniti di Cantor e così piccoli che erano più eterei degli infinitesimi.
Mi ricordo una vera vertigine intellettuale, una scarica di endorfine incredibile. Epifanie che capitano poche volte nella vita, ma che uno si porta dietro per sempre, che spesso definiscono una biografia: come quando ho letto Borges per la prima volta, ad esempio, o quando la Biblioteca di Babele. Un vero senso del sublime.
Conway è morto il mese scorso, per colpa del Covid. Credo sia stato un matematico unico nel suo genere, e ho scritt un articolo su Il Tascabile per ricordarlo.
Il programma Open Access del Cleveland Museum of Art
Il 17 aprile, il direttore del CMA ha annunciato che tutte le immagini delle opere del museo libere da diritti saranno rilasciate in pubblico dominio (CC0), e anche tutti i metadati di tutte le opere (libere o meno). Ecco il discorso tradotto da Mirco Modolo.
Buongiorno, sono William Griswold, direttore del Cleveland Museum of Art
e sono lieto di dare il benvenuto a chi di voi è qui con noi in questo luogo
nell’Ames Family Atrium, all’ombra del nostro favoloso edificio del 1916, e a quanti ci seguono online mentre lanciamo il nuovo “CMA Open Access program”.
A partire da oggi le immagini di opere d’arte nella collezione del museo saranno a disposizione di tutti attraverso licenze CC0.
Inoltre i metadati relativi a ogni opera nella collezione saranno anch’essi universalmente resi disponibili per indicare se una stessa opera si trova nel pubblico dominio oppure è protetta da diritto d’autore.
Attraverso le licenze CC0 il museo rinuncia a qualsiasi diritto sulle immagini e sui dati in modo che un pubblico ben più vasto possa beneficiare della sua illustre collezione.
Questo è il logico ed emozionante corollario della “mission” inclusiva del nostro museo che consiste nel creare esperienze trasformative attraverso l’arte, a beneficio di tutti e per sempre.
Come custodi di una delle più grandi collezioni di arte globale al mondo
Come responsabili della conservazione di circa 60.000 opere d’arte di ogni periodo e di ogni angolo del globo abbiamo capito che era arrivato il momento di portare la nostra mission nel XXI secolo.
Se il nostro scopo è quello di rendere le collezioni museali universalmente accessibili e in forma gratuita a pubblici di tutte le età, indipendentemente dal luogo in cui vivono se il nostro obiettivo è quello di facilitare la disseminazione di nuova conoscenza se siamo impegnati nella trasparenza per promuovere la creatività e per coinvolgere le comunità sia dentro che fuori la nostra regione allora per noi non c’è quasi nulla da fare che possa avere un impatto maggiore.
Mentre ampliamo l’accesso alla collezione del museo siamo orgogliosi di contribuire alle migliori pratiche, sia per la qualità dell’immagine, sia per la ricchezza dei dati che rilasceremo.
Con il lancio di oggi noi riaffermiamo l’uso delle licenze CC0 come standard globale per l’accesso aperto alle immagini di pubblico dominio così come ai dati.
Nel compiere questo passo importante speriamo di incoraggiare altri istituti nel mondo a fornire accesso aperto al loro patrimonio e al contenuto culturale con licenze CC0.
L’accesso aperto con licenze CC0 offrirà un’infinità di nuove opportunità per interagire con le le opere d’arte e la nostra collezione.
Con questa mossa abbiamo trasformato non solo l’accesso alla collezione del museo, ma anche le prospettive di usabilità sia all’interno che all’esterno delle pareti del nostro museo.
Ovunque, dovunque e in qualunque modo si potrà usare, riusare, rielaborare o reinventare gli oggetti nella nostra collezione.
Così dovrebbe essere perché noi nel museo siamo semplicemente i custodi di questi oggetti che appartengono all’eredità artistica di tutti.
Rinnoviamo la nostra collezione online per rendere più facile per gli utenti l’accesso alle informazioni sulle opere d’arte che abbiamo il dovere pubblico di conservare e incoraggiamo chi viene qui per “catturare” le proprie immagini di opere d’arte di pubblico dominio nella nostra collezione per qualsiasi scopo, anche commerciale.
Il Cleveland Museum of Art invita infatti tutti quelli che traggono vantaggio dalle opportunità offerte dalle licenze Creative Commons a considerare che le opere d’arte che loro creano contribuiscono a formare il patrimonio culturale come bene comune di cui godiamo e che condividiamo.
Non mi rimane oggi che ringraziare i nostri partner, che hanno supportato con entusiasmo questa iniziativa.
Il loro contributo ha fornito energia dinamica per il lancio dell'”Open Access program” e ha rivelato alcuni dei modi in cui immagini e dati che abbiamo messo in pubblico dominio possono essere usati, riusati e riproposti. Ne riparleremo tra un momento.
Per ora vorrei estendere il mio caloroso apprezzamento all’intero staff del Cleveland Museum of Art e in particolare a Jane Alexander e al suo team straordinario.
Uno speciale ringraziamento si deve anche a “Creative Commons”, il cui staff e la cui comunità hanno generosamente condiviso con noi le loro competenze vorrei riconoscere il ruolo guida di Neal Stimler, così come il supporto dei nostri Trustees.
L’ingresso al Cleveland Museum of Art è gratuito ormai da molto tempo.
Ora, grazie all’open access e alle licenze CC0, l’accesso alla nostra collezione è più libero che mai.
Claustrofilia
che poi – è qualcosa di strano e poco adatto ad essere detto – una delle chimere più longeve della mia vita è stata quella di “bastarsi”: bastarsi emotivamente, affettivamente, culturalmente. La chimera, laicamente monacale, di pretendere di stare bene un po’ dovunque, ma soprattutto a casa propria, da solo. Tutti abbiamo la fantasia romantica della clausura, dell’eremita, della capanna nel bosco e dell’essere contenti di un tavolo di legno, qualche libro, una mela, una serata a guardare il fuoco. C’è un germe di claustrofilia, di amore per le mura, per la solitudine, in ognuno di noi. È una fantasia tanto ubiqua quanto falsa, perché la stragrande maggioranza di noi si romperebbe le scatole dopo pochi giorni, abituati come siamo a tutto il resto – così infrastrutturale, questo resto, da essere invisibile, come sempre è l’infrastruttura. E infatti ci siamo rotti le scatole di stare in casa nostra dopo la prima settimana di canzoni al balcone. È quindi una fantasia da tenere a bada, di cui non bisogna fidarsi, ma che, chimere di autarchia a parte, può – teoricamente – essere addomesticata: il desiderio di diventare una persona che sta bene con sè stessa è un desiderio sano, se tenuto in equilibrio. Io solo non sono, siamo una coppia con un minuscolo mammifero che ogni giorno cresce ed evolve in quello che sembra proprio essere una persona vera, ma ricordo sempre quella citazione di Pasolini che dice l’indipendenza che è la mia forza, implica la solitudine che è la mia debolezza, citazione che mi veste meno bene oggi di quanto lo faceva anni fa, in cui solo lo ero davvero; ma che comunque è una verità grande come il cielo e ci racconta le due facce, la meravigliosa e la tremenda, di quella cosa titanica che è stare con sè stessi.
E ora che il mondo intero fa praticamente la vita che io ho fatto per anni, c’è del sollievo in tutta questa preoccupazione, forse un insensato ottimismo che sia una palestra utile per tante persone, ché lottare con sè stessi è necessario, per poi farci pace, anche temporaneamente. Ammetto con un po’ di vergogna che sapere che voi (voi tutti) non facciate niente di meglio, in quell’egoistico “mal comune mezzo gaudio” così adatto ad una società di felicità competitiva (apparente o reale, ma comunque da esibire sui social network, da moltiplicare tramite appositi filtri su instagram) mi solleva, soprattutto all’approssimarsi di un’estate in cui siamo inondati dalle foto delle vacanze altrui, che siamo costretti a vedere sempre quando noi siamo a lavorare. Mal comune mezzo gaudio: se non è invidia, è la sua cugina non più simpatica. Oscillo come un pendolo fra il non poterne più – desiderare nuovamente un lavoro per cui sono costretto a vestirmi e uscire di casa e mangiare fuorib – e la segreta speranza (a cui non credo neanche un secondo, ma che è una vocina perversa sempre presente) che questa cosa duri ancora a lungo. La mia claustrofilia, così amica della mia depressione, è una bestia dura da addomesticare.
RIP my darling boy.
(più passano gli anni, e siamo a sette, più la mamma di Aaron posta sue fotografie da piccolino. Non tante, non sempre: su twitter, il giorno del suo compleanno, e ovviamente ogni maledetto 11 gennaio.
Aaron aveva 26 anni, ma via via che passa il tempo sua mamma lo custodisce, lo ricorda come è nel suo cuore, come l’ha vissuto lei, davvero, in quei momenti magici che sono per una madre i primi anni del suo primo figlio. Non l’Aaron Swartz intellettuale ed eroe che ammiriamo noi, ma quello con la faccia furbetta e birichina che giocava con i fratelli, che sorrideva alla camera di papà. È una cosa che ho notato solo dopo che è nato Tommi, e mi spezza il cuore tutte le volte.)
Come trascrivere automaticamente un audio
Spesso capita di dover sbobinare un file audio, e a parte ottime soluzioni a pagamento, una modalità complicata ma gratis è utilizzare il sistema di sottotitoli automatici di Youtube.
I passaggi sono questi:
- Rendere il nostro file audio un file video. Strumenti online ce ne sono tanti, io uso questo, partendo da un mp3 (ma ci sono anche alternative). Di fatto vi chiede di scegliere un’immagine per creare un video a immagine statica. Ne va bene una a caso, tanto il video sarà privato.
- Caricare il nostro video su Youtube (ovviamente serve un account). Caricatelo in modalità privata, scegliete la lingua italiana, e se volete forzate i sottotitoli mettendo fra i tag “yt:cc=on“. Non so se serva davvero ma male non fa.
- Bene, lasciatelo lavorare, fate pure qualcos’altro e tornate dopo almeno un paio d’ore. È tipo la pasta della pizza, deve lievitare.
- Dentro il vostro video, dovreste avere il file pronto da scaricare in formato sottotitoli. Ovviamente è tutto da lavorare e può essere più o meno preciso (dipende molto dall’audio e dalla lingua di partenza), ma è certamente meglio che niente.