Da tempo, penso che il modo migliore per descrivere internet sia dire che è un moltiplicatore. Nessuno sa cosa sia, un moltiplicatore, perchè è una cosa che non esiste: ma questo va a vantaggio della metafora. Tutti immaginiamo cosa faccia, una scatola nera che moltiplica cose. Ci metti dentro qualcosa, e questa ti esce più grande, più grossa in più copie. Ci metti dentro qualcosa di bello, ed esce magnifico. Ci metti qualcosa di brutto, e diventerà orribile. Garbage in, garbage out.
Una cosa che mi disse Eco, quando lo intervistai 6 anni fa, fu che Internet (al contrario della televisione) allargava la forbice fra ricchi e poveri:
Il computer in generale, e Internet, fa bene ai ricchi e fa male ai poveri. Cioè, a me Wikipedia fa bene, perché trovo le informazioni che mi sono necessarie, ma siccome non mi fido, perché si sa benissimo che, come cresce Wikipedia, crescono anche gli errori. Io ho trovato su di me delle follie inesistenti, e se qualcuno non me le segnalava, avrebbero continuato a restare lì.
I ricchi sono coltivati, sanno confrontare le notizie. Io vado a vedere la Wikipedia in italiano, non sono sicuro che la notizia sia giusta, poi vado a controllare quella in inglese, poi un’altra fonte, e se tutte e tre mi dicono che quel signore è morto nel 371 d.C. comincio a crederci.
Il povero invece becca la prima notizia che gli arriva, e buonasera. Quindi c’è per Wikipedia, come per tutto Internet, il problema del filtraggio della notizia. Siccome conserva tutto, sia le notizie false che le notizie vere, mentre i ricchi hanno delle tecniche di filtraggio almeno per i settori che sanno controllare.
È un discorso attualissimo, a cui si fa continuamente riferimento: le bufale, i complotti, la camera dell’eco dei social. Facebook da tempo sta cercando di eliminare le bufale algoritmicamente, con scarso successo. Chi controlla le notizie? Chi andrà a convincere le persone che hanno letto e si sono convinte di una notizia falsa? Le ricerche ci dicono che fare il debunking dei complotti è inutile, perchè nessun complottista ne sarà mai convinto.
Uno dei risultati della rivoluzione digitale è dunque aver allargato la forbice cognitiva: chi aveva gli strumenti per capire (e l’attitudine a farlo), trova in internet un moltiplicatore. E chi invece questi strumenti o questa attitudine non ce l’aveva, trova lo stesso effetto moltiplicatore.
Avete notato come, soprattutto su Internet, la gente non ragioni, ma reagisca?
Non è un caso: se siamo abituati ad agire istintivamente, a non filtrare l’emozione, Internet diventa uno specchio del nostro cuore e del nostro intestino, più che la biblioteca digitale universale che i suoi creatori volevano costruire. I social sono uno specchio della società, in cui viene esplicitato prima un sentimento che un pensiero. In un luogo del genere, la nonviolenza gandhiana di Gianni Morandi appare (e in parte lo è) un atto eroico: perchè risponde ad aggressione con sorriso, a violenza con ironia, sovvertendo la logica della forza che tendiamo a vedere ovunque. Siamo abituati che ad azione corrisponda reazione uguale e contraria, e chi non lo fa diventa un fenomeno del web: Gianni Morandi l’antinewtoniano.
Il nostro è un mondo sempre più complesso, o quantomeno in cui la complessità è percepita in maniera sempre più vivida, è sempre più reale. E le persone ne sono, letteralmente, sommerse.
Qualche anno fa si parlava di “overdose informativa” (information glut), ma è forse più propriamente una “overdose di complessità”: la realtà (la cara, vecchia realtà che ho sempre conosciuto) ti sfugge da sotto i piedi, e ti senti attaccato nella tua identità (nazionale, sessuale, di genere, economica, alimentare).
E quando ti senti attaccato ci sono solo due possibilità: combatti o scappa.
Ovviamente, c’è chi è molto bravo a sfruttare politicamente tutto questo: Trump, per esempio, offre una rassicurante opzione “combattiva” (utilizzando la sempiterna massima cristiana “vai bene così sei“). Tutta la sua retorica (e il suo registro linguistico da bambino dislessico) non fa altro che dirti: quello che senti è giusto, hai paura, io so vincere, risolverò tutto questo. E il mio terrore è che noi “ricchi” (che sappiamo leggere le notizie in un paio di lingue, che sappiamo annusare una bufala leggendo solo il titolo) non sappiamo capire tutto questo. Non è, credo solo un discorso politico, ma un discorso cognitivo.
Denise scrive questo bel post, a cui risponde Eusebia. Si parla di biblioteca come istituzione, istituzione che dovrebbe rispondere a certe domande della società. Istituzione che storicamente aveva un senso e uno scopo che continua a mantenere, senza, spesso, rendersi conto che è la società ad essere cambiata, ed oggi rispondere ai bisogni informativi vuol dire una miriade di cose differenti.
Per cui basta entrare in una biblioteca oggi per rendersi conto che la gente lì ci sta per studiare (sui propri libri), usare il wifi gratuito (se c’è), usare il computer per guardare un dvd o andare su internet (tendenzialmente, lo fa chi non possiede un pc a casa). Perchè la biblioteca è l’unico luogo che non gli chiede niente, in cui possono stare al caldo d’inverno e al fresco d’estate.
La biblioteca è sempre meno un luogo per “rispondere ai bisogni informativi”. L’idea di prendere un prestito un libro, o anche solo di pensare che un libro possa aiutarmi a rispondere ad una domanda per me importante, è sempre più minoritaria. Ma anche, come dice Virginia, a volte un libro è esattamente ciò di cui ho bisogno (per esempio, un manuale per prendere la patente).
Se qualche decennio fa (ma quanti?) bastava essere gli unici depositari di informazione scritta per poter servire i cittadini, ora Internet questo lavoro lo fa al tempo stesso meglio e peggio, ma certamente in maniera molto più comoda e veloce e personalizzata. E chi fa le cose più come e più veloci e più personalizzate, semplicemente, vince, spesso a discapito della qualità.
Per cui si torna al discorso di prima: internet ti offre tutto quello che gli chiedi, moltiplica chi sei.
La domanda, dunque, sorge spontanea: la biblioteca può essere risposta parziale a tutto questo? Può esistere la biblioteca come facilitazione alla complessità? Lavorare come adesso ma cento volte di più, su alfabetizzazione/literacy/strumenti?
Potrebbe essere un obiettivo nobilissimo e praticissimo al tempo stesso. Il punto, forse, è che le biblioteche (luogo gratuito e aperto, a tutte le età e condizioni sociali) possono essere il posto giusto, ma certamente i bibliotecari non bastano: ci vorrebbe un coordinamento fra ruoli e competenze diverse, dagli insegnanti agli assistenti sociali a, ovviamente, i bibliotecari.