Quando è considerata un bene commerciale, l’informazione ha tre proprietà principali che valgono a distinguerla da altri beni, come le auto o una pagnotta. In primo luogo, è un bene non rivale: il fatto che Giovanni detenga (consumi) l’informazione che la batteria è scarica non impedisce all’elettrauto di detenere (consumare) la medesima informazione allo stesso tempo. Questo non sarebbe possibile con una pagnotta.
In secondo luogo l’informazione tende, di regola, ad essere un bene non esclusivo [in realtà sarebbe non escludibile]. Talune informazioni (come la proprietà intellettuale, i dati sensibili o riservati, i segreti militari) spesso sono protette, ma ciò richiede uno sforzo ulteriore proprio perché, normalmente, l’esclusività non è una proprietà naturale dell’informazione, la quale tende ad essere facilmente rivelata e condivisa. Al contrario, se il vicino di Giovanni gli presta i suoi cavi per la batteria non può usarli lui allo stesso tempo.
Infine, dal momento in cui un’informazione è disponibile, il costo della sua riproduzione tende ad essere trascurabile (nessun costo marginale). Ciò naturalmente non è vero per beni come una pagnotta. Per tutte queste ragioni l’informazione può talora essere concepita come un bene pubblico, secondo una prospettiva che giustifica a sua volta l’apertura di biblioteche pubbliche o progetti come Wikipedia, a cui tutti hanno libero accesso.
Luciano Floridi, La rivoluzione dell’informazione, Codice Edizioni, Torino, 2012.
Il corsivo è la citazione vera. Il resto è mio.
Non mi convince il punto uno. Proprio perché l’informazione è potere, detenere un’informazione che il mio avversario non conosce è strategicamente importante: anzi, io farò di tutto perché lui non abbia quella informazione, perché disporne da parte sua potrebbe rendere inutile la mia.
Credo che l’esempio della batteria sia molto infelice, perché è un esempio di informazione di mercato: io ho la batteria scarica, il mio elettrauto lo sa, ci veniamo incontro per soddisfare i nostri bisogni (pagarlo perché me la carichi). Ma il mio elettrauto può non volere che io legga su internet come caricarmi la batteria da solo.
Forse non sto capendo bene io, ma quel passaggio, così com’è, non mi pare solido. Per questo non tutta l’informazione può essere un bene pubblico (come si dice nel punto tre).
(Tutto questo al netto delle mie convinzioni personali).
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Il discorso che fai tu Floridi lo fa in un’altra parte del libro. Diciamo che questa citazione, così fuori contesto, non è del tutto chiara, e si presta all’interpretazione che hai dato tu. Il punto è che adesso lui parla della “fisica dell’informazione”, della sua natura instrinseca. E il fatto di creare scarsità nell’informazione è un fatto, come dire, artificiale, sociale. Se lasciata a sè stessa, in un ambiente ricco di interazioni, l’informazione si propaga. Il fatto che ogni tanto noi creiamo “recinti” ha senso, ma è una restrizione che facciamo noi. L’elettrauto non può impedirmi di guardare internet.
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Ok, era quello che immaginavo allora :)
Mi ha confuso il termine “bene commerciale” all’inizio.
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