Stare qui al CERN è speciale, per più di una ragione.
A parte entrare in biblioteca e urtare per sbaglio un premio Nobel ottantottenne, ci sono tante piccole cose che rendeno questo posto inconcepibile, almeno per noi italioti. Per esempio: la biblioteca (come il resto, d’altronde) è aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Wireless in ogni dove. Stampanti a fondo perduto. Un’enorme macchina fotocopiatrice che ti manda le scansioni direttamente sulla tua mail. Schermi alle pareti che annunciano i libri nuovi e quelli appena riconsegnati. E parlo solo della biblioteca, eh.
C’è una parola chiave, qui, ed è accesso aperto. E se ne porta un’altra dietro, fiducia. Dare fiducia alle persone, se è giustificata da un bene più grande, compensa tutti i contro e tutti i problemi. Significa dare responsabilità. E’ pedagogia spicciola, santoddio. Credete che qui i libri non vengano presi, durante la notte? Certo, ma raramente. E spesso ritornano.
E se non ritornano, bhè, amen, avere la biblioteca aperta la notte in un centro di ricerca come questo è più importante che perdere 50 euro per un libro. Dare la possibilità agli studenti di stampare o scansionare quello che vogliono è più importante che impedire ai furbetti di approfittarne.
Perchè c’è un fine astratto ma preciso: produrre scienza, produrre conoscenza. La biblioteca è un servizio-piattaforma, ci si basa su di esso per produrre qualcosa di nuovo. Organizza informazioni, seleziona, facilita l’accesso. Ricerca per il ricercatore, gli offre il suo supporto. Ricordate la storia dei nani sulle spalle dei giganti, l’importanza delle piattaforme, il paradigma moltiplicativo?
Ecco, quella storia là.
Inutile dire che dall’accesso aperto fisico si passa a quello digitale. Inutile dire che il CERN ha uno dei più grandi repositories scientifici di fisica delle alte energie del mondo (storicamente disciplina altamente collaborativa e fra le prime a passare all’open access, nel 1998, con arXiv.org). Senza contare il lavoro pieneristico di Luisella Goldschmidt-Clermont, anno domini 1965. Inutile dire che ha una biblioteca digitale da oltre un milione di documenti, fra libri, articoli, pre-print. La cui gran parte è open access, e che copre tutta la letteratura HEP (High-Energy Physics) e parte di quella HEP-related.
Il loro digital library system, Invenio, è fra i più complessi e potenti in commercio. Ed è gratis, ovviamente open source. Tutto costruito in casa, grazie a qualche genio stabile (anche italiano) e a decine di studenti che passavano di qui per uno stage, per un’estate, per un progetto semestrale.
In progetto c’è Inspire, una digital library sempre HEP-related in collaborazione con altri centri di ricerca e università, come il Fermilab di Chicago, con strumenti social e scientometrici…
E una delle cose che mi colpisce di più, è la naturalezza nel fare le cose in un certo modo. La tranquilla sicurezza che vanno fatte in questo modo, il sorriso di fronte a chi come me chiede e fa domande e si stupisce e si esalta.
E, dai risultati, sembra che tutto questo funzioni. La conoscenza è un commons. Chi lo va a spiegare a chi di dovere che la conoscenza pretende di essere accessibile?
Bellissimi punti (ti ho già detto che ti odio, vero ;-) ? )
Il principio per cui i servizi (e le idee, e il lavoro, e l’impegno) siano “user oriented”, ossia pensati perché servano a qualcuno, è al tempo stesso di una semplicità disarmante e di una potenza devastante. Si lavora affinché le cose funzionino, e non affinché “tutto rimanga com’è”. Che questo accada in un grande centro di ricerca può sembrare quasi ovvio, ma basta riflettere sullo stato delle nostre italiote università per accorgersi che qualche empasse esiste ancora (warning: eufemismometre over-load!!!)
Sto per andare a fare una presentazione pubblica in cui spieghiamo l’iter del periodico nel nostro ateneo, e solo a leggere le nostre slide c’è da deprimersi a vedere come funzionano i flussi…
Parentesi conclusiva. Venerdì sono stato al Poli di Torino per una giornata sull’open access, in cui ho avuto il piacere di assistere a un intenso “keynote speech” di JeanClaude Guedon. Tutto molto bello, ma si ha l’impressione che siamo ancora fermi a cinque anni fa, nel mondo accademico, per quanto riguarda l’open access. E’ il CERN che è un’isola felice, oppure sono i vari convegni, tavole rotonde, comitati, aziende che non invitano le persone giuste a parlare delle esperienze giuste?
Solito bellissimo post, grazie! Solo un consiglio: la prossima volta che si parla di CERN, perché mettere sempre la stessa foto dell’LHC, anziché una bella foto della biblioteca? ;-)
ciao a tutti
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Con due mesi di ritardo, ti ringrazio dei complimenti ^__^
Di Guedòn ho letto il “Open Access – contro gli oligopoli del sapere” (su cui volevo scrivere qualcosina ma sono pigro), e mi piace come sposti il punto e apra il vaso di Pandora primo mondo VS paesi in via di sviluppo, anche nella ricerca scientifica.
Il CERN mi sembra davvero un’isola felice, per vari motivi: la cultura dell’organizzazione è decisamente aperta, sotto tutti i punti di vista, non credo esistano posti al mondo paragonabili per complessità/potenza/apertura. Ne ho conferme anche da una tesi che ho appena letto, che analizzava il caso del CERN nell’utilizzo dei Wiki come strumento di comunicazione/produzione intellettuale. Purtroppo nelle università permangono altri interessi e valori, evidentemente.
PS: ho cercato una foto della biblioteca, ma non l’ho trovata…
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Il problema, come al solito, è di natura economica. È naturale che “chi di dovere” preferisca guadagnare qualche milione piuttosto che fornire la conoscenza open access. Finché saremo in questa situazione la scienza sarà sempre un pò…incatenata. Comunque è bello vedere che almeno da qualche parte ci sono queste iniziative. Dove studio io la biblioteca è aperta 3,5 h la mattina 5gg la settimana e 2 ore il pomeriggio 2gg la settimana e le fotocopie (anche di 1-2 pagine) le paghiamo NOI STUDENTI, vedendo la situazione al CERN mi viene un pò di invidia…
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Ciao Nino. Il problema è quasi sempre di natura economica, ma secondo me anche di metalità, i soldi non semrpe c’entrano. UNa situazione come al CERN, ovvio, non si è creata dal giorno alla notte. Ma una mentalità, una cultura di collaborazione e ricerca che si è formata nel tempo permette anche di fidarsi di lasciare la biblioteca aperta la notte. Io credo che bisogni andare a passi piccoli, ma andare si deve, altrimenti le cose non migliorano da sole.
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