Dove non si parla di libri

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I protagonisti di questa storia sono: una biblioteca pubblica, un social network, un cittadino della ex­-Jugoslavia, un centinaio, o forse più, di sconosciuti che hanno scritto una voce su Wikipedia.

La storia è molto breve. La biblioteca decide di mettere in mostra dei libri di narrativa di autori dell’area balcanica; espone anche delle mappe che rappresentano le diverse fasi di costituzione del territorio della ex­-Jugoslavia negli ultimi 25 anni. La foto delle mappe è pubblicata sulla pagina Facebook della biblioteca, insieme a un breve testo che promuove l’iniziativa.

Il post su Facebook viene commentato con toni piuttosto accesi da una persona che protesta perché, nell’ultima mappa, il territorio della Bosnia-Erzegovina non rappresenta il vero ordinamento di quello Stato. La questione è delicata, perché c’è stata una guerra in cui qualcuno ha combattuto e subito sofferenze prima di arrivare all’attuale ordinamento, e chi scrive fa notare come egli stesso e il suo popolo siano stati coinvolti. Si capisce che non si tratta di una mera…

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In questi giorni

Ora, io non sono un esperto di migrazioni. Non sono uno storico, un politico, un economista. Non ho le “competenze” per ricostruire il contesto di questo particolare conflitto, o nello specifico di questo particolare flusso di essere umani che si rifrange, a ondate, sulle nostre coste, ma quella che vedete non è schiuma, quello è sangue.
E il fatto che ci ostiniamo a non voler guardare certe cose non rende quelle cose meno vere. La forbice di diritti e dignità che stiamo creando era insostenibile prima, diverrà sempre più insostenibile ogni giorno che passa.
E continuiamo a illuderci che noi abbiamo “diritto”, a questa casa, a questo lavoro, a questi vestiti, a queste amicizie, all’avere un figlio, a vivere felici. Ma in realtà noi non abbiamo diritto di nulla.
Siamo, in buona sostanza, il risultato casuale, l’emergenza di una vita intelligente sulla crosta di un pianeta che viaggia senza meta nelle tenebre dell’universo. E tutto ciò che siamo, tutto ciò che facciamo è il risultato di conquiste e decisioni che abbiamo preso, nei secoli e milenni, ed è quello che chiamiamo cultura, civiltà, società.
Siamo migliorati, nei secoli. Abbiamo inventato lo stato di diritto, abbiamo cercato di arginare la fame di bestia dentro di noi.
Ma la giustizia ha ancora tanta strada da fare: siamo sempre stato una società non giusta e non equa.
Il punto che alla fine o i diritti non esistono o esistono per tutti.
Credere che il profugo che puzza sul mio treno non sia anche, fra gli altri, affare mio, e il mio specchio, la mia immagine se fosse andata diversamente, se la guerra fosse scoppiata a casa mia, se la pestilenza avesse ammazzato i miei, se.
Credere che lui è lui e io sono io è, infine, una menzogna che ci raccontiamo da decenni, da secoli, a cui non vogliamo guardare in faccia, ma è una bolla, una bomba che scoppierà. Altro che crisi.

Bastano tre-quattro gradi perchè il clima globale come lo conosciamo diventi completamente altro. Qualche grado in più, e New York verrà ricoperta da centinaia di metri sott’acqua. Ma basterà molto meno.
Cosa faremo, cosa diremo quando le persone alle nostre porte ci saranno non migliaia, ma milioni di persone?
Cosa ce ne facciamo di uno stato di diritto (auguri, Magna Charta) se non riusciamo a comprendere che è tutto una costruzione, una meravigliosa costruzione fatta letteralmente sopra milioni di morti e di cadaveri e pensatori e eroi e libri e leggi, nei millenni che sono passati?
Basta un niente, per tornare indietro.
Nulla di tutto questo ci è dato, nulla è garantito o scontato.
Giochiamo allegramente sul filo del burrone, ma se cadiamo nessuno verrà a prenderci. Dovremo risalire, una volta ancora, con le nostre forze, per riconquistare il significato di parole che l’avranno perso: diritti, civiltà, solidarietà. Normalità.
E farà schifo, credetemi, come solo la guerra fa schifo, come il sangue fa schifo, come la merda fa schifo, come quando la morte quando trebbia gli esseri umani, che sembra estate e cadono come grano.
O ci salviamo da soli, o non ci salverà nessuno.

Cosa è Internet

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Ci sono un sacco di cose che avrei voluto dire ieri sera ad Announo, ma praticamente si riassumono in questo semplice concetto: Internet è una piattaforma per l’espressione della natura umana.

Come piattaforma che amplifica, moltiplica aspetti di quello che siamo, modifica alcuni nostri comportamenti, e interagisce con noi come nessun’altra tecnologia precedente. Ogni tecnologia abbastanza potente modifica il nostro comportamento, lo fa curvare sotto la propria forza di gravità: l’umanità prima del telefono era diversa, l’umanità prima della radio era diversa, l’umanità prima della televisione era diversa.

Era diversa, eppure uguale, nel senso che ciò che c’è nel cuore dell’uomo (le sue pulsioni fondamentali, quello che ci rende una specie particolare su questa terra) sempre quelle sono.
Per cui, si: Internet è un posto orribile e meraviglioso, ed è un posto in cui l’umanità è sè stessa, all’ennesima potenza.
Internet (che altri chiama l’umanità) può essere rappresentato come una gaussiana, una classica curva a campana: Facebook, Twitter, Wikipedia, i posti che tutti frequentiamo, gli interessi che tutti abbiamo stanno sopra, sulla cima della montagna.
Tendiamo a credere che sia questo, Internet, perchè tutti conoscono questi luoghi digitali, e sono frequentati dalla maggioranza delle persone.

In realtà, però, la rete è soprattutto tutto il resto: una landa infinita, estesa fino all’orizzonte, di migliaia e migliaia di comunità e gruppi e persone che si ritrovano attorno ad un interesse, un hobby, una malattia, una speranza, una perversione sessuale, un segreto, una passione, una condizione sanitaria, una semplice domanda.

Non è possibile riassumere concetti come “vita”, “umanità”, “mondo” in due parole, per cui una domanda come “La Rete è cattiva?” è mal posta.
Si e no. Entrambe. Dipende.

L’unica cosa che dunque vorrei aggiungere, è che, se Internet siamo noi, abbiamo il dovere, il potere e la responsabilità di costruirne uno migliore, o di aggiustare quello che c’è adesso.

Aaron lo disse, nell’ultima intervista, così.

«You know, there’s sort of these two polarizing perspectives, right, everything is great, the internet has created all this freedom and liberty, and everything’s going to be fantastic, or everything is terrible, the internet has created all these tools for cracking down and spying, and controlling what we say.
And the thing is, both are true, right?
The internet has done both, and both are kind of amazing and astonishing and which one will win out in the long run is up to us.
It doesn’t make sense to say, “Oh, one is doing better than the other.” You know, they’re both true.
And it’s up to us which ones we emphasize and which ones we take advantage of because they’re both there, and they’re both always going to be there.»
https://www.youtube.com/watch?v=vXr-2hwTk58#t=83m32s

La nuova selezione di titoli Wikisource su MLOL

Cose di lavoro.

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Da poche settimane, MediaLibraryOnLine ospita oltre tremila testi provenienti dalla Wikisource in lingua italiana. È stato un lungo lavoro, e ci piacerebbe raccontare parte di questo processo.

Prima di tutto, vogliamo spiegare in due parole cos’è Wikisource. Come “fratello” di Wikipedia – e quindi seguendo le stesse logiche – è un progetto basato sul lavoro volontario e sull’idea di diffondere liberamente la conoscenza. Al contrario di Wikipedia, però, Wikisource ha come scopo principale quello di raccogliere e digitalizzare testi in pubblico dominio e non quello di scrivere un’enciclopedia. Un po’ quello che fanno il Progetto Gutenberg e LiberLiber, però in “stile wiki”.

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