Una notte di undici anni fa, a Tallinn, stavo leggendo Gödel Escher Bach, l’agone letterario della mia vita (quattro anni e mezzo per leggere un libro sono tanti). Ad un certo punto, lì dentro, ho visto un nome che avevo già orecchiato in Da zero a infinito: quello di John Conway.
Con Conway era così: leggevi qualcosa di strano ed esoterico e il suo cognome spuntava come una margherita d’inverno, facendo cucù nei momenti più inaspettati.
In GEB, si parlava dei “numeri surreali”, numeri che comprendono tutti i numeri mai pensati (naturali, razionali, irrazionali, reali, transfiniti), e sono insieme più piccoli e più grandi di ogni numero mai pensato. Numeri così grandi che erano oltre gli infiniti di Cantor e così piccoli che erano più eterei degli infinitesimi.
Mi ricordo una vera vertigine intellettuale, una scarica di endorfine incredibile. Epifanie che capitano poche volte nella vita, ma che uno si porta dietro per sempre, che spesso definiscono una biografia: come quando ho letto Borges per la prima volta, ad esempio, o quando la Biblioteca di Babele. Un vero senso del sublime.
Conway è morto il mese scorso, per colpa del Covid. Credo sia stato un matematico unico nel suo genere, e ho scritt un articolo su Il Tascabile per ricordarlo.
RIP John Conway
