Pensavo ieri ai libri e alle persone, apparentemente opposti e rivali (spesso, per me, rifugio l’uno dall’altro), e ricordavo quello che diceva che il libro è il modo di parlare (meglio, ascoltare) quello che un amico ha da dirti, attraverso lo spazio e il tempo.
In effetti, pensandoci bene, ci si ricorda che un libro è semplicemente un caso tecnologico, e là dietro c’è una persona che aveva delle cose da dire, le ha messe in fila e per ricordarsele tutte e dirle tutte le ha scritte su un pezzo di carta. Una volta (tanto tempo fa, il pezzo di carta non era carta e non era un pezzo ma un rotolo di pelle, e poi hanno inventato i fogli e li hanno cuciti insieme ed è diventato quello che noi chiamiamo libro).
Non c’è cosa più inesorabile e invincibile per l’uomo che l’esigenza di comunicare, far sapere che ci si è, che si è qualcuno.
Era tecnologicamente più facile codificare questa comunicazione tramite la lingua scritta, su un supporto materiale: avessero avuto i registratori dopo Socrate forse vivremmo in una civiltà completamente orale.
Tutto questo per dire che è vero, un libro è lingua morta e una sequenza di simboli che inizia e finisce, ma c’è sempre qualcuno dietro che ha avuto la pazienza e la voglia di scriverla, di dire qualcosa a qualcuno. Io lo trovo molto dolce.
Dolcissimo. :)
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