In perfetto Repubblica-style, WMI ha deciso di rispondere alle famose (e ridicole) 10 domande della SIAE con altrettande domande.
- Perché la SIAE continua a non distinguere tra proprietà intellettuale e sua remunerazione, facendo credere che quest’ultima sia obbligatoria e impedendo all’autore di scegliere se e come farsi pagare?
- Perché la SIAE continua a parlare di “furto” della proprietà intellettuale (cioè lo spacciare per propria l’opera creata da altri), quando in realtà spesso si tratta solo di virtuale ed eventuale mancato incasso delle royalties?
- Perché la SIAE ritiene che l’immissione illegale di opere protette da copyright non possa essere perseguita e punita dalla magistratura (unico organo costituzionalmente preposto all’amministrazione della giustizia), come ogni altro illecito, e plaude al provvedimento AGCOM che porta in pratica alla giustizia faidatè?
- Come si pone la SIAE di fronte agli enti che offrono connessioni WiFi gratuite, e che potrebbero così implicitamente contribuire al download illegale di contenuti?
- Perché la SIAE ottiene soldi (il cosiddetto equo compenso) dai supporti di memorizzazione, indipendentemente dall’uso che ne farà l’acquirente? Dove sarebbe il servizio specifico da lei prestato e che dovrebbe essere remunerato ?
- Perché ci sono molte aziende e servizi (iTunes, BookRepublic, Sugaman…) che operano nel settore della cultura e che riescono tranquillamente a sfruttare Internet per il proprio lavoro, mentre la SIAE non sembra riuscirci? E perché – oltretutto – tale incapacità dovrebbe essere fatta pagare agli utenti della rete?
- Perché nessuno si chiede perché la SIAE voglia creare una contrapposizione tra autori e produttori di contenuti e utenti?
- Perché la SIAE non vuole nemmeno sentir parlare delle licenze d’uso Creative Commons, che nelle loro varie versioni danno al produttore di contenuti la libertà di scegliere se e come ottenere quella che lui ritiene un’equa remunerazione per la propria opera tutelando al tempo stesso la proprietà intellettuale?
- Perché l’industria italiana della cultura si arrocca su posizioni di rendita nate secoli fa, e non si rinnova per creare contenuto e valore sfruttando le tecnologie attuali che ampliano enormemente il mercato ma richiedono uno sforzo iniziale per adeguarcisi?
- Perché in Italia c’è un monopolio di fatto (vedi articolo 180 della legge 63/1941) della SIAE, e gli autori sono sostanzialmente costretti a iscriversi a SIAE per tutelarsi?
(fonte Wikimedia.it)
PS: la cosa più triste della faccenda è che nel 2011 non si riesca neppure ad instaurare un dibattito civile su proprietà intellettuale, pirateria e diritto d’autore. La questione non sono solo le opinioni a riguardo, ma non aver compreso i termini della questione. La SIAE non solo non ha risposte, ma pone le domande sbagliate (e dato che è l’unico attore sul palco, parla pure da solo).
Siamo messi così, che vuoi farci.