Non puoi fermare quello che sta arrivando.
Io ero a cavallo, e attraversavo le montagne di notte. Attraversavo un passo, in mezzo alle montagne. Faceva freddo, e a terra c’era la neve… Lui mi superava con il suo cavallo e andava avanti, continuava a cavalcare senza dire una parola. Lui… era avvolto in una coperta, e teneva la testa bassa. Mi ha sorpassato e io mi sono accorto che teneva una fiaccola, ricavata da un corno, come usava ai vecchi tempi, e il corno e la luce della fiamma che c’era dentro era come la luce della Luna… E nel sogno sapevo, che stava andando avanti, per accendere un fuoco da qualche parte, in mezzo a tutto quel buio e quel freddo… E che quando ci sarei arrivato l’avrei trovato lì.
Sceriffo Bell, Non è un paese per vecchi
Mi piace pensare che La strada sia semplicemente il momento in cui tutto quello che doveva arrivare è già arrivato.
E che la fiaccola sia il fuoco che dobbiamo portare.
La prosa di McCarthy è un deserto desolato, un esodo di frasi brevi e secche, che ripetono pedanti una vita di gesti stupidi e fondamentali. Un punto dietro l’altro, conosciamo ogni gesto di ogni mattina, il modo in cui si aprono le scatole di latta, come si piegano i teli polverosi dopo colazione, come si prepara il carrello per una altro giorno di niente, come si aggrotta un ciglio al cielo e si bestemmia per pregare.
Un luogo di parole senza vita, (e cenere e buio e polvere, che ad un certo punto ti manca la salivazione), una terra desolata di piccole luci e miserabili ferocie.
Il linguaggio della post-apocalissi è dunque pura paratassi, ripetizione incessante e inesorabile di azioni, abolizione della forma dialogo, minuti squarci nel silenzio per non disturbare troppo il bianco della pagina.
Niente virgolette, niente capitoli, ma un ansare dello stesso respiro, per rendere giustizia al dolore.
Su questo deserto di freddo, McCarthy ricostruisce l’umanità dall’interno, e sullo sfondo del niente ogni umanità ed ogni barbarie sono raddoppiate, decuplicate. La scena del bunker è commovente. Quella della cantina terrificante. Alla nebbia di fatica viene comunque contrapposto sempre un grumo di poesia, a chiudere ogni paragrafo. Che sia bestemmia o preghiera, od entrambe le cose. McCarthy non cede, per nostra fortuna, alla tentazione di non dare speranza. Ce l’infila a fatica, la mescola nel fango, ma non rinuncia a leggere nel profondo, a cercare un redenzione.
La strada è una profezia spaventosa sulla miseria e sulla grandezza umana, sulla speranza disperata, sulla paura che dovremmo fare a noi stessi, e sugli abissi di luce che nostro malgrado siamo capaci di portare.
complimenti per il blog!
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Lo sto leggendo adesso, mi mancano le ultime venti pagine. Toccante. Soprattutto quello che cerca di salvare l’uomo del bambino.
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