Inconcepibili

…quella vita piagata d’infinito in ogni cellula del suo corpo,…
Cristina Campo, Sensi soprannaturali

Mi sono sempre chiesto perchè vi sia una diversità così sorprendente nella comunicazione delle informazioni.
Non riesco a scorgere la differenza sostanziale, di fondo, fra due concetti, magari diversissimi, appartenenti a sfere differenti del sapere, ma che sempre concetti rimangono.
Idee, informazioni, abitanti della noosfera.

Eppure per raggiungere alcune informazioni bisogna studiare anni, mentre per altre basta un’occhiata, una parola.
Per comprendere determinate teorie bisogna avere tempo, volontà: dedicare esperienze e vita al costruirsi basi per poter salire ancora più in alto, innalzare magazzini per conservare i mattoni di domani.
Per altre sensazioni, non meno complesse, servono sguardi, carezze, parole, profumi. Immediate ti raggiungono e permangono.

Eppure le informazioni, le unità fondamentali, partono dallo stesso punto, con lo stesso medium, e raggiungono nello stesso modo il destinatario.
Si tratta sempre di pensieri tradotti in parole, di linguaggio. Sono fatti degli stessi atomi.

Sento fortemente la mancanza di una letteratura euristica, di una narrazione che possa fornire informazione, spiegare, insegnare.
Esattamente come un testo universitario.
Analogamente, non conosco, se non rarissimi casi, saggi, trattati, articoli scientifici che possano garantire lo stesso calore di un romanzo d’avventura, la profondità di una poesia.
Non riesco a cogliere la ragione profonda del perchè ciò sia impossibile.

Credo che questi libri facciano parte degli Inconcepibili,
quei libri che non esistono neppure nella biblioteca di Babele.
Quei libri che stanno al di fuori del reale, e ai quali possiamo soltanto anelare.

Esistono libri immaginari, esistono credo anche libri che sarebbero potuti esssere stati scritti, ma il destino o la morte non ha voluto vederli nascere su questa terra.
Penso al saggio sui coltelli della Moore tradotto dalla Campo, all’ultima lezione americana di Calvino, al romanzo definitivo di Dostojevskij.
Tutti questi, in un modo o nell’altro, saranno infrattati in qualche angolo oscuro della Biblioteca, ma ci saranno. Un po’ come i numeri irrazionali: non li potrai mai comprendere, possedere con uno sguardo, ma ne puoi vedere una parte, concepire un’esistenza.
Gli inconcepibili sono forse numeri strani, fanno parte di un altro sistema, più ampio. Come i numeri complessi, forse.
Un altro universo, a cui si può arrivare con la ragione, con il desiderio: essi, i libri che non ci sono, ma che abitano fra noi come alieni, provenienti da altri spazi.
Possiamo soltanto percepirli come assenza.

Scritto il 27 novembre 2007. L’originale si trova qui.

Pubblicato da aubreymcfato

Digital librarian, former president of Wikimedia Italia.

11 pensieri riguardo “Inconcepibili

  1. questo sì che è qualcosa degno del miglior andre, quasi da david.
    mi piace quando crei categorie, stranam mi ha ricordato quando parli di complessità, anche se io, folgorata sulla via di amburgo, penso che tutto ciò si possa descrivere anche come presenza – e qui non è un gioco fraseologico tornare all’assenza.
    ma non ho tutta la tua prorietà di linguaggio x ribattere bene ;>

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  2. Posso dissacrare tutto?
    Posso, cioè, prendere sul serio la questione?
    Secondo me si tratta semplicemente di com’è fatto il nostro cervello, del cos’era importante cogliere al volo nella savana (e in generale sulla terra, per i miglioni di anni di evoluzione che ci hanno forgiato). Così per alcune cose abbiamo gli strumenti per coglierle al volo, senza intermediazione cosciente e consapevole, semplicemente perchè “c’abbiamo il neurone che scarica proprio per quella cosa lì”.
    Scusate l’intrusione.

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    1. Caro hronir, è un’onore averti qui (anche perchè varie volte ho provato a commentare il tuo blog ma ho sempre avuto problemi…)
      Non so, la questione per me è ancora aperta. Hofstadter parla spesso di aggregazione in blocchi, cioè del fatto che il nostro pensiero funziona aggregando e generando un nuovo blocco concettuale, che poi viene riutilizzato come strumento. Per questo, pensiamo moltiplicativamente, salendo sempre su nuovi livelli che ci costruiamo, giorno dopo giorno. La conoscenza è probabilmente simile ad un sistema di concetti, che eternamente si aggroviglia, sovrappone diversi livelli ed interpretazioni, si mangia la coda tutte le volte che vuole. Un groviglio di urobori, insomma. Anche io credo che, materialmente, sia una questione di “spazi”: le emozioni stanno in certe aree del cervello, il linguaggio prevalentemente in un altra, ecc. Ma, per il poco che ne so, la questione non è cos’ chiara, non siamo del tutto a compartimenti stagni. In alcune patologie, assistiamo a sinestesie, sovrapposizioni, sintesi prima inconcepibili. Il cervello, insomma, è pieno di sorprese (vedi Sack nel classico “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello“, o i numeri come colori di Daniel Tammet). Chissà, forse in uno studio futuro dell’evoluzione potremmo avere una sintesi migliore fra modalità di pensiero differenti, e percepire diversamente il linguaggio, ed emozionarci leggendo il teorema di Gödel (cosa che, tra parentesi, credo sia possibile già adesso).

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  3. Mi spiace per i commenti al mio blog: fino a qualche tempo fa i commenti erano in calce al post e questo probabilmente era causa di qualche problema: da relativamente poco ho tolto questa modalità e sono tornato a quella solida di blogger su una pagina a parte che dovrebbe essere più stabile.

    Per tornare al tema di questo tuo post, io in realtà avevo in mente tutt’altra immagine rispetto a quella dei blocchi di Hofstadter: pensavo alle reti neurali, al loro categorizzare la realtà (cfr. Il motore della ragione, la sede dell’anima di Churchland) e al loro essere predisposti per certi stimoli e ignorare completamente altri…
    Hofstadter riguarda più il pensiero astratto, logico, razionale, mentre qui tu lamenti la mancanza di “percezione immediata” di certe cose… e la percezione immediata è, appunto, non-mediata, e dunque è il cervello che lavora per noi…

    Ad ogni modo, erano solo pensieri volanti, giusto per lasciare un segno che “ho scoperto questo blog”… :)

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    1. Mmm, vero, però… Probabilmente il nostro pensiero astratto, alla lunga, ha modificato il cervello, in migliaia di anni di evoluzione. Perchè la percezione immediata, credo, non è solo naturale, fisiologica, ma credo anche costruita, con gli anni e l’esperienza. La mia percezione di Borges, per esempio, è immediata, non è razionale nè controllabile, ma sono io che sono 25 anni che mi costruisco per apprezzarlo… Con le mie letture ed i miei studi, le mie esperienze e quant’altro. Natura e cultura, insomma.

      Scrivi pure quello che ti pare, è un blog libero e i tuoi pensieri volanti ci interessano ;-)

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      1. Per vedere una cosa bisogna capirla. La poltrona presuppone il corpo umano, con le sue parti e le sue articolazioni; le forbici, l’atto di tagliare. Che dire di una lampada, o di un veicolo? Il selvaggio non può percepire la Bibbia del missionario; il passeggero non vede lo stesso cordame che vede l’equipaggio. Se vedessimo realmente l’universo, forse lo capiremmo. (cit)

        Sono ovviamente d’accordo con te, aubreymcfato (poi un giorno mi/ci spiegherai l’origine di questo nome). Semplicemente provavo a spiegare la differenza di “difficoltà” nel vedere qualcosa col fatto che le cose “difficili” sono quelle per cui siamo meno “predisposti”. Culturalmente o biologicamente, certo, ma se dopo tanto sforzo le cose restano difficili, significa che la biologia, in quel caso, ci si mette di mezzo con più pesantezza…

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      2. Trovo interessante che la tua mentalità da fisico, giustamente, si rivolga piuttosto alla materia ed alla biologia… Credo che tu abbia ragione, probabilmente la nostra struttura cerebrale, ogni tanto, ci frena in modalità che non avevamo previsto.

        Aubrey McFato è il nome del demone di Humber Humbert, in Lolita di Nabokov. Mi è sempre piaciuto per il suono, e perchè era autoreferenziale. Il demone, il destino di amare ninfette, come disse Barthezzaghi. Fra l’altro, la mia traduzione era piuttosto vecchiotta, ora viene tradotto McFatus, o McFate in originale. Ergo, fino a qualche anno fa Google dava solo me come risultato.

        PS. E’ preoccupante è che abbia capito, ovviamente l’autore, ma anche il racconto?
        (a onor del vero, ho dovuto controllare, la mia memoria aveva archiviata come il “racconto à la Lovercraft”…)

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      3. Qui si rischia di dilagare all’infinito.
        Cercherò di trattenermi, limitandomi al poscritto.
        Non è preoccupante, al contrario ti rende onore. Non ho volutamente nominato l’autore per non offendere la tua intelligenza (non è vero: era una specie di sfida). Io personalmente non ricordavo affatto il racconto. Avevo in mente una traccia piuttosto fedele del passo citato (nella mia infanzia avevo preso a trascrivere molte delle sue eterne parole, che ormai echeggiano destrutturate nella mia memoria) e mi è bastato googlare per trovarne la trascrizione letterale, da sfruttare ignobilmente per quel mio commento.
        E devo confessare che ho percepito un atroce vuoto nel veder citato, a proposito, Lovercraft. Mi sono precipitato sui due tomi dell’opera omnia, ho soffiato via la polvere delittuosa che vi si era condensata e mi sono ri-bevuto d’un sorso il racconto.
        Come nuovo.
        Pentito, mi sono ripromesso di tornare a praticare.

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  4. boia se ci interessano, mi sono iscritto ai commenti solo per riceverli via posta e non perdermene uno … continuate, continuate … eheh

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