Articoletto che avevo scritto nel dicembre 2021 per Areale, la newsletter di Domani curata da Ferdinando Cotugno. L’idea era spiegare in pochissime parole, e concretamente, perché ritenessi importante il lavoro di Tesla, e conseguentemente di Musk. È un articolo cinico ma secondo me rimane importante distinguere i piani – si può detestare la sua politica su Twitter e allo stesso tempo riconoscere il fatto che senza Musk non avremmo avuto l’accelerazione “green tech” che abbiamo visto negli ultimi dieci anni. Lo ripropongo dunque con qualche modifica. Si, l’immagine è ironica, ho solo scritto “Terraforming Musk” su Midjourney.
Partiamo dalla conclusione risalendo alle premesse, che è un metodo sempre efficace: pensare che la transizione energetica globale possa avvenire in maniera naturale, organica, senza conflitti, portata avanti da persone di buona volontà, con spirito ambientalista e collaborativo, di comune accordo, è puro pensiero magico. È qualcosa che non esiste, e non può esistere.
È pensiero magico non per la poca nobiltà degli ideali, ma per quelle che gli ingegneri chiamano le condizioni al contorno: primo, viviamo in un mondo capitalista, dove cioè il libero mercato è il modo in cui le persone si scambiano beni e servizi. Si possono dire un milione di cose sul capitalismo, ma nessuno contesterà il fatto che sia un meccanismo consumista – basato sul continuo desiderio di possedere nuovi beni e nuovi servizi – e sull’abbondanza di questi beni e servizi: il che comporta, sistematicamente, un grande spreco.
Secondo, il capitalismo è un dato di fatto: adesso è così. Si può sognare un altro sistema, si può lavorare per costruire un altro sistema, ma al momento questo abbiamo. Sì, è puro “realismo capitalista”, ma ogni altro sistema o è iperlocale o è di là da venire.
Terzo, il sistema è interamente basato sull’utilizzo di combustibili fossili.
Quarto, il climate change ha una data di scadenza, che è poi è una data di arrivo: il tempo per agire è sempre meno. Abbiamo moltissima fretta.
Ne consegue, tenendo conto di tutti quattro i punti, che sognare a occhi aperti con il climate change non è permesso: diventa, purtroppo, solo un altro modo di perdere tempo.
Si parte da qui.
Elon Musk è un terraformatore. In questa singola parola – vaga ma non troppo – abitano tutti i suoi difetti e tutti i suoi pregi. È testardo, ambizioso fino alla follia, terribilmente determinato verso i suoi obiettivi. E, cosa che molti detrattori non sembrano capire, è terribilmente capace.
Twitter a parte (cosa di cui non parleremo e che è, a conti fatti, fondamentalmente marginale) quali sono sempre stati i suoi obiettivi? Rendere gli esseri umani una specie multiplanetaria e accelerare l’avvento di una civiltà che utilizzi energia sostenibile. Per il primo ha creato SpaceX e per il secondo ha co-fondato Tesla.
Pensiamo per “principi primi”, come tanto piace a lui: una civiltà sostenibile, per definizione, è una civiltà che si basa su energia rinnovabile, senza emissioni. Qual è la maggiore e più sostenibile fonte di energia rinnovabile? Il sole. Per questo, nel 2003, Musk investì in un’azienda di energia solare, SolarCity, che è stata leader del mercato americano per anni prima di venire acquisita da Tesla nel 2016.
Secondo punto: qual è il settore che emette più emissioni e che ha più probabilità di essere reso sostenibile da una svolta tecnologica? Quello dei trasporti. Fra i più difficili da “pulire” e di fatto anche una leva per aprire ad altri settori (come quello del riscaldamento o dell’accumulo energetico). Per questo, sempre nel 2003, Musk investì in Tesla e ne divenne CEO.
Musk ha spiegato tutto questo già nel 2006, quando scrisse il primo “Master Plan” (altri ne sono seguiti, di complessità crescente). La idea originaria era piuttosto semplice: per prima cosa, costruire una macchina elettrica di lusso; con i profitti costruirne una più abbordabile, in volume maggiore; con i profitti di questa, costruire un’auto veramente di massa.
Con qualche rallentamento, il piano ha fondamentalmente funzionato. Al momento, Tesla è leader del mercato globale delle auto puramente elettriche, e ne vende oltre un milione di auto elettriche l’anno, con l’intenzione di raddoppiare praticamente ogni due, grazie a nuove Gigafactory, alcune appena aperte e altre in costruzione.
In termini di autonomia, batterie, velocità, software, connettività, rete di ricarica, bassi costi, Tesla è nettamente la prima al mondo (io ho le mie fonti, voi controllate pure).
A tutto questo si aggiunge la guida autonoma, che, quando arriverà, renderà possibile un modello di sharing molto più capillare, e, si spera, aiuterà anche ad avere meno auto su strada, ma usate molto di più.
Avendo le migliori batterie al minor costo, Tesla riesce a declinerle in diversi prodotti: soprattutto auto, per cui il brand è più conosciuto, ma a breve anche camion a lunga e media percorrenza (una cinquantina di camion sono già in uso alla Pepsi). Grandissimo potenziale è quello delle batterie per accumulo, come i Megapack, che permettono ai sistemi di energia solare ed eolica di diventare una fonte stabile (e non solo intermittente), promettendo quindi di cambiare totalmente la rete elettrica. La crescita di questo settore è vertiginosa, ma si sta partendo praticamente da zero.
A livello residenziale da anni sono in vendita i Powerwall, che possono connettersi per formare delle “centrali elettriche virtuali”.
Anche l’ambientalista più radicale conviene con il fatto che la transizione energetica globale non è una condizione sufficiente per mitigare il climate change, ma una condizione necessaria si.
In un’epoca divisa fra il sacrosanto movimentismo dei giovani – che per definizione hanno poco potere – e gli spuntatissimi politici dei governi – tipo l’ultima Cop… -, siamo ridotti al più classico dei dilemmi del prigioniero. Il terzo polo rimane il più importante: l’industria, che deve assolutamente, spinta dal mercato, dai governi e dalla gente, fare la sua parte, seriamente, al netto di ogni greenwashing.
Tesla è la più forte e la più grossa e la più ricca realtà industriale a lavorare nella direzione di una transizione energetica.
È ormai assodato che senza Tesla tutte le altre case automobilistiche avrebbero continuato, con il loro lobbying, a rallentare la transizione elettrica, facendo uscire il minimo possibile di modelli elettrici per ingraziarsi pubblico e politica. Chiedere a Marchionne e Stellantis.
D’altronde, come sarebbe stato altrimenti possibile per una piccola startup californiana battere giganti come Toyota e Volkswagen in una delle industrie più costose e ricche del mondo? È molto semplice: l’automotive non ha mai voluto, e spesso tuttora non vuole, una transizione all’elettrico.
Ora, a mio avviso, che a fare tutto questo sia una persona che “non piace” all’intero movimento ambientalista e progressista è un problema tutto sommato minore. La transizione ha bisogno di tutti: anche i “cattivi”. Forse soprattutto i cattivi.
In un mondo capitalista l’azienda che guida la transizione è ovviamente valutata triliardi: Musk, che ha milioni di azioni, è diventato conseguentemente l’uomo più ricco del mondo (fra quelli che dichiarano le proprie finanze, cosa che non include sceicchi e oligarchi vari).
Se può consolare qualcuno, tutti i 120mila dipendenti di Tesla nel mondo per contratto hanno delle stock options, aspetto più unico che raro nel panorama industriale.
Conclusione: Musk non è l’eroe ambientalista che può piacere all’ambientalismo – per quello c’è Greta – ma è decisamente un antieroe che di cui al momento abbiamo bisogno.