L’articolo che oggi esce per il Tascabile parla di una scrittrice non molto conosciuta, Cristina Campo, la cui opera, in varie forme, occupa un paio di scaffali della mia libreria. L’ho scoperta nei miei primi vent’anni, e leggevo tutto ciò che di suo mi capitava sotto tiro. Mi era molto vicina per tematiche e visione, non mi pareva ci fosse nessuno scrittore come lei (e, infatti, non c’era).
Cristina, oltre a scrivere come scrive, era anche bellissima e si può dire che io mi fossi letteralmente innamorato di lei (come scrittrice, come persona), cosa che non mi capita mai ed è anche piuttosto patetica. Ricordo mesi in cui una sua foto sgranata era il mio sfondo del pc (non avrebbe sicuramente approvato).
Poi io sono cresciuto, la cotta mi è passata, ma soprattutto quel sostrato culturale che me la rendeva magica e inarrivabile mi è piano piano morto dentro. Invecchiando riesco a guardarmi indietro e vedere dei “me” che non sono più io, che erano diversissimi da chi sono adesso, o almeno credo.
Per cui scrivere su Cristina Campo, oltre dieci anni dopo, è per me un passo d’addio, un saluto dovuto, perché in quel particolarissimo momento della mia vita che faccio ancora fatica a decifrare, lei era una presenza.
All’inizio, volevo scrivere nell’articolo il perché leggere ancora Cristina Campo, e non l’ho scritto perché di motivi davvero non ce ne sono più.
Se non che, nonostante non creda a più una singola parola di quello che dice, si è presa un sacco di tempo fa una parte del mio cuore, e ce l’ha ancora.