Il vero problema con Roberto Saviano

Roberto Saviano è un ragazzo che ha tutta la mia comprensione, affetto e stima. Perchè ha scritto un grande libro (Gomorra, ZeroZeroZero non l’ho letto), perchè si è preso la responsabilità delle sue parole, perchè le paga tutti i giorni.

Ma, come scriveva Christian Raimo due anni fa su Linkiesta, è diventato la parodia di sè stesso. O meglio: è diventato maniaco: della mafia, di sè stesso, del suo impatto, della sua figura messianica e salvatrice.

Le accuse dell’articolo del Daily Beast sono difficilmente evitabili, e lo stesso Saviano ricostruisce la storia delle ripetute critiche e denunce nel suo articolo su Repubblica di oggi.

A me piace molto lo stile di Saviano: il romanzo nonromanzo, quella cosa che la leggi e non capisci se è vera o falsa o realtà travestita da letteratura o il contrario. Diceva non so dove che per scrivere la serie tv Gomorra aveva raccolto un sacco di fatti di cronaca, e li aveva riassemblati insieme per costruire storie e personaggi. Quello che scriveva era veramente successo, solo che le facce erano diverse, i nomi diversi, i dettagli diversi.

Associo questo metodo, con tutte le differenze del caso, al concetto di “verità estatica” di Herzog: il non ritenere che un “fatto” sia automaticamente una “verità”, cercare di riprodurre una verità più vera, più intima. Come Herzog, Saviano mischia le carte, confondendo cose effettivamente successe da cose inventate. In questo, ha trovato una sua cifra stilistica, rendendo efficace come un romanzo quello che sarebbe stato un insieme di fatti dati e numeri. Secondo me è uno stile straordinario, e in questo è un maestro. Il numero di copie vendute (come ben sa) gli dà ragione.

Il punto però, secondo me fondamentale, è che questo stile, questo incesto fra “fatti” e “storie”, deve essere esplicito.

Sono certo che Saviano abbia pensato moltissimo se inserire note a piè di pagina, o bibliografie, o virgolettati. Ha deciso di non farlo, perchè si sarebbe perso il suo stile, si sarebbe perso quello strano e ubiquo “Saviano personaggio”, dentro il libro, che studia, legge, parla, conosce, scopre, agisce. Perdendo quel personaggio, e la sua ambiguità fra personaggio e autore, si perde la grandezza di Gomorra (o di ZeroZeroZero).

C’è, quindi, tutta la differenza del mondo fra usare una forma letteraria per ottenere un effetto nel lettore, e poi riconoscere di averlo fatto. È la differenza fra il prestigiatore e il sensitivo, il medico e il santone.

È la differenza, ancora, fra religione e letteratura. La seconda sa di essere una finzione.

La cosa che non capisco, davvero, è che nulla gli impedirebbe (magari non nel libro ma altrove) di citare le fonti, di comporre una bibliografia, di ricostruire i fatti rispetto alle invenzioni. Soprattutto, di pagare i debiti verso gli altri. Sarebbe un enorme servizio per chiunque. Sarebbe, inoltre, corretto.

Il punto è che io credo che Saviano abbia deciso, inconsciamente, costretto dagli eventi, di diventare vittima sacrificale.

Di accettare la sua sorte, di prendersi il peso del mondo sulle spalle, di usare la parola per salvare tutti quanti. Come Simone Weil, come Gesù Cristo. Il che è umano, encomiabile, patologico e criticabile.

Perchè (e qui parlo per me) guadagneremmo un grande scrittore e un grande giornalista, evitando di avere l’ennesimo guru. Perchè proprio perchè è bravo, proprio perchè la sua parola arriva a milioni di persone, noi abbiamo il diritto (e la responsabilità?) di criticarlo quando sbaglia, di riportare l’ambiguità del suo stile ad una verifica. Perchè quello di cui parla è troppo importante.

Saviano ha una responsabilità verso i suoi lettori, solo che non è quella che crede lui. È molto più semplice, in realtà. Per sua fortuna, non abbiamo bisogno di essere salvati.

Pubblicato da aubreymcfato

Digital librarian, former president of Wikimedia Italia.

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