Non sono mai stato un tecnofilo, non credo di esserlo neanche ora, ma da qualche anno frequento la rete e una marea di gente che nella rete ci lavora (e ci sarebbero tanti discorsi da fare, su quello che la rete vuol dire, e come lo dice), e c’è questa parola, innovazione, che prima non mi diceva niente e ora mi dice un sacco di roba, e ho finito per crederci, che sia importante.
Spiegavo prima ad un amico cos’è il uno spazio di coworking (es.)(a Modena vogliono aprire uno, pare una cosa molto, molto bella, se sei interessato, leggi, compila), e l’innovazione è una delle poche cose che può salvare questo povero paese, perchè se fai innovazione fai ricerca, quindi sei curioso (per forza), e se fai innovazione guardi al futuro, e guardare al futuro, pensare di farlo, di volerlo costruire, è una cosa bella, sana.
Soprattutto (soprattutto) scopro che per fare innovazione, per cambiare il mondo, ci vuole entusiasmo, e l’entusiasmo è una cosa così bella, così semplice, così importante, che boh, non so chi se l’è rubato, come diavolo ha fatto, dove (soprattutto) l’abbia messo.
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Bello, perché nemmeno io ero un tecnofilo.
Anzi, mi consideravo misoneista e luddista, nientemeno, fino a sette anni fa, sprofondato nel mio mondo bibliofilo e letterario. Volevo dedicarmi a una vita di poesia, come scriveva John Keats a J. Reynolds. Poi però è successo che la necessità della pratica ha invaso il mio spazio intellettuale – grazie a una tesi di laurea sbagliata e malfatta ma condotta da due bravi professori che indirettamente mi hanno fatto capire cosa avevo bisogno di fare – e una volta iniziato a lavorare sono finito per caso in un posto in cui la tecnologia era il motore più o meno mobile.
Pensando a questo percorso, mi sento strano: sento che la formazione umanistica mi ha portato fin qui impreparato a capire molte cose (la mia matematica comprende 6 o 7 simboli fondamentali) ma al tempo stesso mi ha permesso di arrivarci preparato su altre, a cominciare dal senso delle cose e dal perché vogliamo farle, e come riempire di “anima” questi ingranaggi. Sono sicuramente una persona facilmente entusiasmabile, ma non sono un tecnoentusiasta, anzi temo sempre l’agguato dell’età che un giorno mi farà arrendere, fermarmi nella strada dell’innovazione, per essere superato da un collega più giovane che mi guarderà con un po’ di pietà e di disprezzo. Ma questa briciola di entusiasmo che finora mi ha portato fin qui, hai ragione, è una scintilla che vivifica ogni azione ed esperienza qualunque sia l’approccio con cui la affronti. Magari torneremo a fare i falegnami e i pastori, ma ci “torneremo”, ci saranno altri orizzonti che abbiamo esplorato prima.
Non credo che l’entusiasmo te lo porti via qualcuno, è facile però che venga soffocato, attutito, distorto: se è una voce, il rumore è sempre più forte, se è una fiamma le correnti soffiano incessantemente – non è facile difenderla. Com’era quel passo? “…chi e che cosa *non è* inferno, e farlo durare, dargli spazio…”
Come sempre, io credo, la responsabilità non è esterna a noi stessi.
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