Vivere e resistere a Tuwani

Siamo andati anche a Tuwani, villaggio sulle colline a sud di Hebron.
Tuwani si situa in una zona particolarmente povera ed arida della West Bank, e soffre enormemente della vicinanza dell’insediamento israeliano di Ma’on, e soprattutto di un avamposto dello stesso insediamento, in un boschetto proprio a ridosso delle prime case del villaggio.
Ad oggi sono state innumerevoli i soprusi e le violenze dei coloni, che mascherati si armano di fionde e
pietre e coraggiosamente attaccano i pastori con le loro greggi e i bambini che devono compiere chilometri sotto il sole per andare a scuola. La presenza fissa di internazionali ha spesso aiutato nel documentare un incessante stato d’assedio di una piccola comunità palestinese, di circa 300 persone, dedite soprattutto alla pastorizia.

Questi sono un po’ i dati crudi, ma è veramente difficile descrivere quello che si è provato nel conoscere una realtà estrema come Tuwani.

Una realtà in cui un’intera comunità di persone decide esplicitamente una strategia di non-violenza, di resistenza giornaliera e quotidiana fatta di azioni semplici e complicate come il semplice stare in un posto quando tutto consiglierebbe di andarsene. Ogni membro della comunità ha il suo ruolo: per esempio, per impedire la demolizione di una casa, gli uomini si erano messi intorno a pregare, mentre le donne facevano cordone impedendo ai soldati di arrestarli.Allo stesso modo, anziani e bambini sono coinvolti e parte attiva della resistenza.

Ad aiutare la comunità, un gruppo di volontari italiani, dell’ Operazione Colomba, assieme ad altri volontari del Christian Peacemakers Team. Gli internazionali aiutano soprattutto accompagnando i pastori e monitorando il viaggio dei bambini a scuola. Negli anni scorsi i volontari accompagnavano direttamente i bambini, ma la loro azione e pressione sul governo israeliano ha costretto quest’ultimo a costituire una scorta armata per i bimbi, con il risultato paradossale (e per certi aspetti inquietante) di soldati dell’esercito israeliano che difendono bambini palestinesi dall’attacco di coloni israeliani illegali.

I ragazzi di operazione Colomba, con una presenza fissa durante l’anno, monitorano il lavoro dell’esercito, che spesso negligentemente non interviene durante l’attacco dei coloni o agisce pigramente per non disturbarli troppo.

Curiosamente, gli attacchi avvengono prevalentemente di Shabbat, in qualità di giorno dedicato al Signore. I coloni dell’avamposto Havat Ma’on vivono nel bosco, in tende, bus dismessi e grotte, cibandosi di capre e Torah solamente. La riconquista della Terra Promessa è missione data da Dio, ed è dunque lecito contravvenire alla legge del Sabato per compiere la Sua volontà. Le modalità di attacco non hanno molta fantasia, in quanto strategia della paura e del terrore ben sperimentata in questi anni: mascherati e vestiti tutti uguali, scendono in gruppo dalle colline lanciando pietre con le fionde. Vi sono stati casi di avvelenamento delle pecore, e la recentissima distruzione di una recinzione metallica che il villaggio aveva costruito per proteggersi. I coloni, pur essendo illegali, hanno il supporto più o meno esplicito dell’esercito e della polizia israeliana, che cerca in vari modi di convingere gli abitanti del villaggio ad andarsene o cedere le loro terre.

Questo è il video di un attacco avvenuto due mesi fa, il 12 giugno:

Operazione Colomba è un progetto dell’associazione Papa Giovanni XXIII. Legati alla presenza di Tuwani, ha un sito, un blog e un canale su Youtube.

[Note: secondo la IV Convenzione di Ginevra, la II Convenzione dell’Aja, la Corte Internazionale di Giustizia e numerose risoluzioni ONU, tutti gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati sono illegali. Gli avamposti sono considerati illegali anche secondo la legge israeliana.]

Pubblicato da aubreymcfato

Digital librarian, former president of Wikimedia Italia.

4 pensieri riguardo “Vivere e resistere a Tuwani

  1. Quei vestiti bianchi e i cappucci hanno li fanno somigliare molto ad attivisti del ku klux klan… Da brividi.
    Non conoscevo questa storia, grazie per averla raccontata.

    "Mi piace"

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