Ioan P. Couliano, Introduzione a “Religioni”

L’epistemologo Karl R. Popper aveva più ragione di quanto non pensasse nel deplorare quello che chiamava la «povertà dello storicismo». Infatti, le mitologie storiche tardano a fare proprie nozioni ormai correnti, che già da molto tempo hanno rivoluzionato altre scienze umane, quali per esempio, le nozioni di «sistema», di «complessità», di «informazione». L’opera di Edgar Morin ha avuto il merito di farle conoscere anche in Francia, e questo ci dispensa dal doverle definire anche in questa sede. L’opera del matematico francese Benoit Mandelbrot ha aperto prospettive straordinarie sulla descrizione delle proprietà matematiche degli oggetti naturali in termini di «frattali». Ogni ramificazione infinita che risponde ad una certa regola è un «frattale». I pensieri che circolano nello spazio della mia coscienza producono questo testo attraverso la manipolazione del frattale della lingua francese, di quello di un linguaggio specialistico e di quello del genere «Dizionario» e della specie «Introduzione», e obbediscono anche ad altri ordini latenti: «semplice», «chiaro», «succinto», «senza note», «pubblico profano», «circospezione», e così via.
Ma il mio sguardo va alla finestra, in cerca della luce che volge al tramonto, e un nome familiare mi induce a sorridere.
La mia vita è un sistema di frattali estremamente complesso, un sistema che si muove simultaneamente su più dimensioni. Ne enumero alcune, come per esempio «professore», «collega», «vicino», oppure «amore», «lettura», «musica», «cucina», e poi mi fermo. In ogni momento io sono fatto di tutte queste dimensioni e di migliaia di altre ancora, che (per il momento) non trovano neanche una definizione sui dizionari linguistici, e le cui combinazioni sono praticamente infinite. Uno spazio matematico il cui numero di dimensioni sia infinito si chiama «spazio di Hilbert». Con il matematico americano Rudy Rucker, posso definire la mia vita come «un frattale nello spazio di Hilbert».

Sebbene molto più complesso, anche il corso di questa giornata è «un frattale nello spazio di Hilbert», e allo stesso modo lo è la storia di questa città, la storia del Midwest americano, la storia degli Stati Uniti, quella dei continenti americani e quella del mondo intero, dalle origini ai giorni nostri. Tutte queste storie che sono contenute l’una nell’altra rappresentano delle ramificazioni, infinite, perché hanno un numero infinito di dimensioni.

Se è possibile ammettere della definizioni così generiche da farci pensare che non ci impegnino minimamente, sarà più difficile invece, accettare l’idea che la vita, questi fenomeno anarchico per eccellenza, «faccia sistema».
In realtà la mia vita si organizza sulla base di un meccanismo di opzione binaria, perché istante per istante va a urtare contro un’ «informazione» che genera un «sistema»: alle 6,35 del mattino la mia svegli suona, ponendomi di fronte alla scelta se alzarmi oppure no. Se lo faccio, cosa che accade abitualmente vengo posto di fronte all’alternativa della colazione, di che cosa mangiare, e così via. In tutto questo arco di tempo i miei pensieri seguono un corso che è determinato dalle mie attività, sentimenti, eccetera, e prendono continuamente forma in base a situazioni e modelli di comunicazione infinitamente complessi. Io so che cos’è la mia vita (un frattale nello spazio di Hilbert), ma mi è impossibile descriverla in tutta la sua complessità, a meno di non riprodurla così com’è. Non posso fare altro che viverla (ed è quel che faccio). Ma le cose vanno in tutt’altro modo per quel che riguarda le scelte fondamentali che io opero in ogni momento, quelle che «fanno sistema». Quelle, posso descriverle, anche se so bene che rappresentano soltanto le sfaccettature di un sistema infinitamente più complesso.

Ma la religione, in che modo fa sistema? Alcuni autori, che per altro condividono orientamenti molto diversi – come ad esempio Emile Durkheim, Marcel Mauss, Georges Dumèzil, Mircea Eliade e Claude Lèvi-Strauss – hanno tutti sottolineato l’idea che la religione risponde a certe strutture profonde. Durkheim, nel suo libro fondamentale Les formes élémentaires de la vie religioeuse (1912), esprimeva l’idea che il sistema religioso è eteronomo, nel senso che codifica un altro sistema: il sistema, cioè, delle relazioni sociali all’interno di un gruppo. Come Durkheim, Georeges Dumèzil fino alla fine della vita è rimasto fedele alla concezione del mito come «espressione drammatica» dell’ideologia fondamentale di ogni società umana (Heur et malheur du guerrier, p.15 tr.it.: Ventura e sventura del guerriero, Torino 1974 ). Al contrario, analizzando a più riprese il mito di Asdiwal degli Indiani Tsimshian della costa nordoccidentale dell’America Settentrionale, Claude Lèvi-Strauss giunge ad una conclusione diametralmente opposta a quella di Durkheim e di Dumèzil, e in particolare scrive che «questo mito […] sceglie sistematicamente di trasporre tutti gli aspetti della realtà sociale in una prospettiva paradossale» (Paroles donnèes, p.122). Questo significa che, per Lévi-Strauss, il sistema delle religioni è autonomo rispetto al sistema della società.

Nonostante tutte le differenze che li contrappongono, Mircea Eliade e Claude Lèvi-Strauss hanno in comune il fatto che entrambi mettono in valore le «regole» in base alle quali una religione si costruisce, e quindi il suo carattere sistemico; inoltre entrambi sottolineano l’autonomia della religione rispetto alla società.

Ma in che modo è possibile tradurre in pratica i risultati di questa constatazione alquanto vaga, dalla quale risulterebbe che la religione (e tutto il resto) è un sistema? In realtà non si tratta di una scoperta recente, ma ciò che essa in primo luogo è che i dati della religione sono sincronici e che la loro distribuzione diacronica è un’operazione le cui cause possiamo tralasciare di analizzare; oppure, ove se ne intraprenda l’analisi, occorre rifarsi continuamente a dimensioni sempre nuove di frattali infinitamente complessi. In questa prospettiva la religione non possiede una «storia» e la storia in un dato momento non viene definita da una «religione», ma solamente da qualche frammento incompleto di una religione. Perché una religione è prima di tutto un sistema infinitamente complesso e poi la parte di quel sistema che è stata scelta nel corso della sua storia; oppure, solo una parte infinitesimale di questo frattale è presente, in un dato momento che possiamo chiamare «ora». L’«ora» del Buddismo è molto più ridotta del Buddismo che è stato (e che continua a essere), e questo, a sua volta, è molto più ridotto rispetto al sistema del Buddismo nella sua forma ideale (vale a dire i Buddismo comprensivo di tutte le ramificazioni possibili del frattale che ha avuto origine dalle sue premesse, dalle sue condizioni di esistenza, ecc.).

Occorre sottolineare ancora una volta che questa prospettiva non è nuova. Già gli eresiologi cristiani come Ireneo di Lione o Epifanio di Salamina e i dossologi arabi come Al-Nadim o Shahrastani condividevano la concezione sistemica della religione, dal momento che sapevano molto bene e mostravano a ogni piè sospinto che qualsiasi eresia è la variante di un’altra eresia e che le diverse dottrine religiose coincidono in base a regole alquanto evidenti. E chi meglio dello storico dei dogmi cristiani sa che tutte le idee per le quali i popoli erano capaci di aizzarsi derivavano l’una dall’altra, secondo un meccanismo che non possedeva alcuna «realtà» esterna alla coscienza umana, quell’apparato la cui funzione sembra essere quella di spezzettare all’infinito i pensieri a partire da certe premesse che derivano a loro volta da presupposti aleatori? E’ impossibile sapere (empiricamente) se Gesù Cristo occupa la stessa posizione di Dio Padre o se gli è inferiore, e nel caso non sia né una cosa né l’altra, in quale reciproco rapporto gerarchico si trovino con esattezza. Tuttavia, se si conoscono i dati del sistema (e in questo caso che esiste una trinità divina composta di tre persone o per lo meno di tre membri ciascuno dei quali ha un nome) è perfettamente possibile anticipare tutte le soluzioni possibili del problema, che in realtà non sono affatto «storiche» (anche se sono state annunciate da personaggi diversi in epoche diverse), dal momento che sono presenti in maniera sincronica. In altri termini, prima ancora che compaiano un Ario o un Nestorio, io so che compariranno un Ario e un Nestorio, perché le soluzioni da essi proposte fanno parte del sistema, ed è questo sistema che pensa Ario e che pensa Nestorio, nel momento in cui Ario e Nestorio ritengono di essere loro a pensare il sistema. E ciò che vale per la cristologia o la mariologia è altrettanto valido per qualsiasi altro sistema, ivi compresa la scienza e l’epistemologia, non meno dell’analisi sistemica di ciascuno di questi sistemi.
Non è il momento di occuparci delle conseguenze di questa prospettiva sistemica. Ma in che modo si giustifica il fatto di averla adottata in un semplice dizionario, un’opera di consultazione? Noi l’abbiamo adottata perché permette al lettore di considerare i meccanismi che creano i diversi aspetti di una religione. Tuttavia è evidente che l’analisi sistemica è stata utilizzabile soltanto quando la complessità dei dati lo ha reso possibile, per esempio, nei casi del Buddismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Quando lo spazio riservato all’esposizione degli elementi essenziali di una religione era troppo ristretto, ne abbiamo fatto solo una descrizione sintetica, tenendo conto per quanto possibile delle fonti primarie e secondarie più importanti.

Pertanto questo Dizionario presenta almeno tre «dimensioni» al livello di lettura: il livello di un’esposizione «obiettiva», che contiene i dati essenziali di molte religioni; il livello «letterario», che permetterà a ciascuno di leggere, se non il «romanzo» della storia delle religioni, come intendeva Mircea Eliade, almeno un susseguirsi di racconti che si riferiscono tutti allo stesso argomento; e infine, il livello di un’analisi di sistemi religiosi, delle loro somiglianze e delle differenze. Al pari della luce della lampada che si posa sullo schermo, dei miei pensieri che si allontanano dal computer e da queste pagine che vi resteranno impresse, le tre dimensioni di questo libro saranno presenti simultaneamente, in ogni momento. Perché i libri hanno una loro vita, e questa vita non è altro che un frattale nello spazio di Hilbert.

Ioan P. Couliano, Introduzione a Religioni,
di Mircea Eliade e Ioan P. Couliano, Jaca, Milano, 1992.

Pubblicato da aubreymcfato

Digital librarian, former president of Wikimedia Italia.

7 pensieri riguardo “Ioan P. Couliano, Introduzione a “Religioni”

  1. Credo sia ora di spegnere il PC, staccare un attimo, andarsi a fare una passeggiata, prendere un caffè…
    Poi le cose sembreranno migliori, altrimenti c’è da preoccuparsi un attimino. In ogni caso ricordarsi di cosa c’è sulla copertina della Guida Galattica per Autostoppisti.

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    1. Caro juhan, avevo erroneamente cancellato una frase importantissima: rileggi i primi due paragrafi, e scoprirai che tu e l’autore la pensate allo stesso modo. (Questa è un’autentica perla nascosta, trovata per grazia divina. C’è tutto.). E comunque, alla fine di tutto, come al solito, la risposta è sempre la stessa: 42.

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  2. Non te la devi prendere, il mio era un commento rivolto all’autore (e dintorni, qualunque cosa voglia dire).
    Mi spiace se l’hai visto come una critica nei tuoi confronti, se sì credimi non era voluto. Io sono e tu tra un po’ dovresti tornare nel paese dove teologi, vescovi, preti e simili fanno il bello e cattivo tempo per cui sono prevenuto, istintivamente quando sento parlare di religione mi viene la pelle d’oca (altri diceva tiro fuori la pistola, ma io non sono di quella fatta). In ogni caso (oltre al 42) c’è sempre l’aurea regola “don’t panic” (che in ‘tagliano suona meno bene, è meno sintetica e prima di finire di dire “non lasciarti prendere dal panico” ti sei tutto impanicato).
    Dai mica dobbiamo essere d’accordo su tutto, finora ho apprezzato tutti i tuoi post, è un record. Ancora amici?

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    1. Hey juhan, oggi non ci capiamo proprio io e te ;-).
      Io non me la sono presa affatto, anzi, avevo interpretato il tuo Don’t Panic semplicemente come non preoccuparsi troppo delle circonvoluzioni frattali del nostro, come un rilassarsi di fronte alla complessità. Avevo infatti tralasciato (2 volte! problemi di salvataggio) questa frase:
      “Ma il mio sguardo va alla finestra, in cerca della luce che volge al tramonto, e un nome familiare mi induce a sorridere.”
      Per questo dicevo che tu e l’autore la pensate allo stesso modo, stessa reazione, stesso ritornare alla vita, alla finestra, al caffè.
      Forse ora puoi finalmente capire il mio commento (errore mio, effettivamente senza questa frase la cosa ha meno senso).
      Amici come prima, figurati ;-).

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  3. Io in tutto questo ci vedo l’imperscrutabile volontà di Lui, l’Unico che può far sì che queste cose capitino. Inchiniamoci di fronte alla potenza e alla serendipità di FSM, RAmen.

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